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Libro morto: la mostra
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Guido Strazza – Ricercare
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Alla Galleria Nazionale la mostra che ripercorre oltre mezzo secolo di storia attraverso l’attività di Guido Strazza: 56 dipinti, 3 sculture, 42 disegni, 31 incisioni.
Le opere scelte, che provengono dalla collezione dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private, sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero in dialogo con ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, Guido Strazza ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo.
Il nucleo di opere provenienti dallo studio e collezione dell’artista sarà donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
L’attività artistica di Guido Strazza
Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922) inizia la sua carriera artistica appena ventenne dopo un incontro a Milano con Filippo Tommaso Marinetti, che vede i suoi disegni giovanili e lo invita alle mostre di Aeropittura che si tengono, nel 1942, a Roma, in Palazzo Braschi, e a Venezia, nell’ambito della XXXIV Biennale. È un incontro “fatale”, al quale ne fanno seguito tanti altri, che il giovanissimo Strazza, interprete tra i più originali e sensibili della linea lirica astratta italiana del dopoguerra, così rievoca: “Siamo andati avanti così per lungo tempo: appena potevo mi presentavo in quel suo studio stipato di libri e riviste e lo ascoltavo, ogni tanto tirava fuori un volume dagli scaffali e me lo regalava. Mi ha aperto gli occhi sull’arte contemporanea; l’amicizia con quel vecchio maestro era un’esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ingegnere per due anni”.
Poi la decisione che rivoluziona la sua vita, e cioè la scelta molto coraggiosa di dedicarsi interamente all’arte: nel 1948 si reca in Sud America, spostandosi dal Perù al Cile e al Brasile. A Lima è tra i promotori della “Agrupaciòn Espacio”, l’associazione di architetti ed artisti che lavorano al progetto di ristrutturazione della città di Callao distrutta dal terremoto, e sviluppa un profondo interesse per l’arte preincaica; a Rio de Janeiro conosce Fayga Ostrower, che lo inizia alle tecniche incisorie, e San Paolo, ormai pittore di successo, espone le sue opere nelle Biennali del 1951 e del 1953 e incontra la pittura di Vieira da Silva.
Rientra in Italia nel 1954, prima a Venezia e poi a Milano, concentrando la sua ricerca nei “racconti segnici”, nelle lunghe pitture in rotolo (conservate oggi al Museum Ludwig di Colonia), nei “Paesaggi Olandesi esposti al Stedelijk Museum ad Amsterdam, negli studi sulle metamorfosi delle forme, raccolti poi in una serie di cicli pittorici. Nel ’63 si stabilisce a Roma, dove frequenta i laboratori della Calcografia Nazionale, allora diretta da Maurizio Calvesi, per approfondire il linguaggio dell’incisione, i cui risultati, incentrati sul rapporto cangiante segno-luce (immagini su schermi mobili trasparenti) e, in seguito, sul rapporto luce-geometria (che troveranno compiuta espressione nel ciclo di pitture e litografie Ricercare del 1973), verranno esposti in una sala personale alla Biennale veneziana del 1968. Sarà Carlo Bertelli, divenuto direttore della Calcografia nel 1974, a invitarlo a impostare una didattica dell’incisione, a cui Strazza si dedicherà con grande passione, competenza ed originalità per due anni, dando testimonianza di questa importante esperienza nel libro Il gesto e il segno edito da Scheiwiller nel 1979, mentre il seguito creativo approdava alla realizzazione di grandi cicli pittorici (Trama quadrangolare, Segni di Roma e Cosmati) fino ai più recenti Archi e Orizzonti, tutti accolti in eventi espositivi presso prestigiose istituzioni e che gli valgono importanti riconoscimenti, tra cui, nel 1988 per la Grafica e nel 2003 per l’incisione, il Premio Feltrinelli assegnato dall’Accademia dei Lincei.
Per ripercorrere oltre mezzo secolo della vicenda creativa di un artista estremamente sensibile e colto come Strazza, l’occasione idonea è l’antologica che verrà allestita, dal 6 febbraio al 26 marzo, nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. La mostra accoglie cinquantacinque opere (dipinti, disegni e sculture) datate 1942-2016, provenienti dallo studio dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private. Le opere scelte (quelle provenienti dallo studio dell’artista costituiranno la donazione alla GNAM) sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero “dialogato” su ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, l’artista ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo.
Una delle annotazioni che si possono fare riguardo alle ricerche di questi ultimi anni è che il segno, spesso, soccombe al colore. Lo spazio ha perduto ogni mistero, è stato riempito di colore, e il risultato è un non vedere. Ma per l’artista anche il colore è segno, “radicalmente indefinibile e indescrivibile. Senza direzione, curvatura o lunghezza, non ha in sé traccia del gesto né di ciò che fa del segno il costruttore dello spazio. Tuttavia, lo riempie di sentimento. Col colore si costruisce uno spazio psicologico”.
Traspare, da questi concetti, la capacità di risolvere nella sua più matura ricerca la contraddizione sostanziale tra materia e forma, tra precisione e imprecisione. In questo contesto si situa l’interesse, tra il 1964 e il 1969, per la scultura in ferro o in plastica, severa e semplice: “Facendo ‘sculture’ – dice Strazza – non ho fatto altro che far segni come in realtà faccio e ho sempre fatto; e posso dirlo se penso al segnare come risposta al richiamo di un fulmineo riconoscere qualcosa che nessuno prima aveva visto, non c’era, e d’improvviso c’è, si fa presenza assoluta e luminosa”.
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