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Il consistente nucleo di opere di Giacomo Balla nelle collezioni della Galleria Nazionale è frutto dell’illuminata generosità delle figlie dell’artista verso il museo.
I 35 dipinti di Giacomo Balla donati dalle figlie Elica e Luce nel 1984 (pratica definita nel 1988), comprendono alcuni capolavori, quali La pazza (1905, dal Polittico dei viventi), Affetti (1910); e, inoltre, opere chiave del periodo futurista, di cui la Galleria Nazionale era priva, quali le due tavolette delle Compenetrazioni iridescenti (1912), gli studi sulla velocità, le Dimostrazioni interventiste (1915), i dipinti degli anni venti di ispirazione spiritualista, fino a comprendere l’ultima produzione figurativa, all’epoca ancora poco studiata, venendo così a colmare le lacune della collezione della Galleria Nazionale.
Nel 1994 (definita nel 1998) Luce Balla indicava la Galleria Nazionale quale destinataria di un ulteriore gruppo di opere, affidando a Maurizio Fagiolo dell’Arco l’incarico di selezionarle tra dipinti, disegni, studi. Fra questi, sono compresi lo schizzo Appunti dal vero sul quadro Fallimento (1902), Ritmi di un violinista (1912) e il progetto di allestimento per Villa Borghese. Parco dei Daini, il grande polittico acquistato nel 1962 dall’ambasciatore Cosmelli.
La mostra che si apre alla Galleria Nazionale, a cura di Stefania Frezzotti, espone per la prima volta insieme le opere provenienti da entrambe le donazioni, offrendo così l’occasione di una rilettura essenziale, ma efficace, del percorso di Giacomo Balla attraverso opere significative dei momenti salienti della sua attività: dalla fase pioneristica del primo decennio del novecento, quando Balla individua nel divisionismo e nella fotografia il linguaggio del moderno, attraverso poi le ricerche sulle dinamiche del movimento e della velocità; dagli studi per motivi decorativi e per le arti applicate, fino alla lunga stagione di adesione ad un suo personalissimo realismo e di ritorno ai temi a lui cari del paesaggio romano, del ritratto, degli affetti familiari.
Nella complessità del lungo e molteplice percorso creativo di un artista incessantemente teso verso la sperimentazione, si può individuare un motivo conduttore nel valore della luce – del suo scomporsi e ricomporsi nello spazio e nel movimento – quale linfa vitale dell’immagine. Per questa ragione, si è scelto di prendere in prestito come titolo per questa mostra un dipinto di Balla del 1943, Un’onda di luce appunto, nel quale l’artista gioca con le parole alludendo alla luce, naturale o artificiale, e al nome della sua figlia maggiore.
Il museo già nel 1971 aveva organizzato una importante retrospettiva che fu l’occasione per riflettere sul significato della presenza di Giacomo Balla in mezzo secolo d’arte italiana e sulla sua centralità nel movimento futurista.
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