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In questa serie di testi-immagini compare una cronaca popolata da donne impetuose e violente, mogli gelose, ex fidanzate che non accettano il tradimento o la fine di una relazione, accanto a uomini che subiscono violenze di ogni genere, picchiati, inseguiti, violentati.
“La violenza di genere connota la nostra storia da millenni, soprattutto quando le donne hanno la forza e il coraggio di ribellarsi e uscire dai propri ruoli. Negli uomini l’aggressività è solitamente considerata ormonale, e entro un certo limite viene accettata come normale. Nonostante non esista un profilo standard per chi compie violenza domestica, ci sono schemi che si ripetono. Nei cosiddetti “delitti d’onore” sono infatti la gelosia, la vendetta, la possessività e l’odio verso le donne i motivi comuni che portano al sopruso. Al contrario, delle vittime si hanno sempre poche informazioni. Di solito i media riportano solo il nome di battesimo e l’età delle donne, nonché la tipologia dell’omicidio. Le circostanze esatte rimangono quindi oscure, nascoste dietro quei muri dove si è svolto il dramma.
Comani capovolge questa crudele realtà invertendo i ruoli di genere, rendendo gli uomini vittime di violenza all’interno delle loro stesse dimore. L’effetto di questo rovesciamento sovversivo è sorprendente, proprio perché siamo abituati a individuare il colpevole nella figura maschile”, queste le parole della curatrice Miriam Schoofs.
La mostra
La nuova installazione dell’artista mette in risalto il contrasto, la stonatura, tra la sobrietà dell’informazione mediatica e il dramma della violenza domestica e del femminicidio, invertendo i generi e trasformando così le donne da vittime a carnefici: in questo processo la stessa cronaca nera rivela il senso di straniamento e alienazione di cui è rivestita quotidianamente, nel suo formale distacco dalla tragedia umanamente vissuta. Alcuni fatti ne risultano quasi surreali, se non persino comici.
Nella serie di 15 stampe ingrandite su un materiale di cotone e alluminio che l’artista accartoccia, si snoda questa originale modalità di divulgazione dei fatti di cronaca. È proprio questo materiale tessile che, con la sua superficie sgualcita, conferisce un carattere plastico alla sequenza di ritagli di giornale allestiti – non incorniciati – nello spazio espositivo. La natura oggettuale dell’installazione genera un effetto scultoreo che aggiunge un nuovo piano di lettura al lavoro concettuale di Comani, un’insolita corporeità che enfatizza la natura esplosiva del tema affrontato.
Come Giuditta decapita Oloferne di Caravaggio (1598/1599) e di Artemisia Gentileschi mostrarono un atto di violenza compiuto da una donna ai danni di un uomo suscitando enorme scalpore tra gli spettatori contemporanei e diventando precedenti illustri della rara forma di rappresentazione nella storia dell’arte, così oggi, attraverso la potenza dell’immagine, questo lavoro di Daniela Comani sottolinea il ruolo di denuncia sociale che l’arte può assolvere.
Daniela Comani (Bologna, 1965) studia all‘Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1993 consegue l’MFA all‘Università delle Arti di Berlino. Dal 1989 vive e lavora a Berlino. Vincitrice di diversi premi e borse di studio, l’artista partecipa a numerose mostre in Italia e all’estero. Il suo lavoro si concentra sul tema della storia, dell’identità, del gender e degli stereotipi sociali, utilizzando il medesimo linguaggio di quei mezzi di comunicazione che si fanno interpreti, nel nostro quotidiano, di valori sociali e consuetudini culturali. Temi che elabora in un ambito multimediale. Tra le sue opere principali ricordiamo Sono stata io. Diario 1900-1999, dove Comani racconta in prima persona dal primo gennaio al 31 dicembre avvenimenti storici, politici, culturali avvenuti nel XX secolo; nella serie fotografica Un matrimonio felice, work in progress dal 2003, mette in scena, giocando con gli stereotipi di genere, la vita quotidiana di una coppia interpretando entrambi i soggetti; ancora, nella serie Novità editoriali a cura di Daniela Comani, trasforma pietre miliari della storia della letteratura attraverso un’operazione artistica che manipola le copertine invertendo il maschile con il femminile, e viceversa. Nel 2011 partecipa alla Biennale di Venezia per il Padiglione di San Marino.
Le sue opere sono presenti tra l’altro nelle collezioni permanenti di MAMbo, Bologna; Kupferstichkabinett – Musei Statali, Berlino; Museo Folkwang, Essen; Museo on the Seam, Gerusalemme; Musée Les Abattoirs, Tolosa; Academy Museum of Motion Pictures, Los Angeles.
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