Roma città chiusa – Ep. 3

Che ci faccio io qui?
foto e testo di Anton Giulio Onofri

 

 

Passata la Pasqua, il Virus non molla e il bel tempo si incrina. Le giornate alternano un sole smorzato alla luce più piatta e senza ombre dei cieli annuvolati. È ora di pranzo, Porta Maggiore si affaccia su Piazzale Labicano come una regina nel suo specchio, senza trovarci le automobili assembrate ai due semafori che smistano il traffico tra Termini e le quattro consolari orientali. Al Pigneto, dopo la spesa, quei pochi che erano usciti di casa ora sono a tavola. Vie e viuzze che in tempi normali brulicano di gioventù, musica e cultura alternativa, oggi sono immerse in una calma quasi sospetta. Anche qui sembra agosto, ma dai fiori e dai colori degli alberi si indovina un tripudio di primavera, nonostante le nuvole in arrivo. Un anziano signore è seduto da ore sulla panca che arreda la strada pedonalizzata e non mostra di volersene andare. Decido di includere anche lui nella foto, cavaliere impavido che a testa alta sembra dire: ‘Virus, non ti temo!’.

 

 

Al centro della rotatoria di Piazza Lodi c’è una scultura di non si sa chi (nessuna targa ce ne svela l’autore). Bella o brutta che sia non importa. Oggi, senza il fiume di auto che di solito le scorre attorno a passo d’uomo, ritorna perentoria protagonista e riesce a rubare un po’ di scena al glorioso acquedotto che al sole le brilla alle spalle. C’è il sole anche sul vasto piazzale con giardini contenuto tra le due imponenti parentesi quadre dei porticati che spingono lo sguardo verso la facciata del chiesone di San Giovanni Bosco, su, fino alla cupola, riassunto di tutta l’architettura italiana da Brunelleschi a Fellini.

 

 

Il cielo minaccia pioggia, ma le strade vuote mi suggeriscono di allungare il giro prima di rientrare. Liberi dall’ingombro di berline, coupé, monovolumi, giardinette, furgonati, camion, autobus, scooter e motociclette, i monumenti di Roma, i suoi palazzi e i suoi quartieri risultano più limpidi e definiti, come una scultura che inizia a prendere forma quando lo scultore toglie materia dal marmo: c’è da non credere quanto sia luminosa Roma anche sotto un cielo senza sole, bonificata del superfluo che la nasconde. Gli archi delle mura, delle grandi porte e degli acquedotti tornano a somigliare alle enormi zampe degli antichi elefanti dal pelo rosso mattone, che da Casal de’ Pazzi alla Campagna Romana furono i primi, preistorici abitanti di questi luoghi.

 

 

Le paline alle fermate degli autobus e dei tram ostentano locandine di mostre, spettacoli ed eventi che per colpa del virus sono stati chiusi, cancellati, rinviati a data da definire. Casualmente, in Piazza San Giovanni in Laterano un acrobata del Cirque du Soleil esibisce una posa simile alla grande croce impugnata dal Cristo in cima alla facciata della Basilica. Nella locandina alla fermata del Verano, Alberto Sordi ci invita cordialmente a festeggiare tutti insieme i suoi cent’anni nella sua villa all’inizio dell’Appia antica, inconsapevole dei decreti del Governo e dei controlli della Municipale che nella sinistra della fotografia, seminascosta dal palo giallo del semaforo, ferma i rari automobilisti. A Porta Pia, tra le architetture di Michelangelo e il Bersagliere di Morbiducci, fa capolino Raffaello, i cui capolavori se ne stanno rinchiusi senza visitatori alle Scuderie del Quirinale nella mostra per i 500 anni dalla sua morte, e sembra chiedersi ‘Che ci faccio io qui?’

 

 

Prima di tramontare, rispunta il sole, che dalla Stazione Termini e per tutta la Via Nomentana, piatta e liscia come una pista di macchinine da corsa giocattolo, mi accompagna fino a casa.