Roma città chiusa – Ep. 2 ....

Cartoline di Pasqua a Natale
foto e testo di Anton Giulio Onofri

È Sabato Santo. Esco di casa per la mia seconda ricognizione fotografica di Roma dall’entrata in vigore del Coronavirus. La direzione è il Colosseo, ma nel percorso mi fermo per un paio di scatti dove di solito c’è un turbine di auto in circolazione o accatastate ai parcheggi: davanti alla Fontana del Mosè in Largo di Santa Susanna o sulla gradinata dell’abside di Santa Maria Maggiore il vuoto, il silenzio e il sole del pomeriggio ricordano agosto, ma l’aria è fresca, tersa, pulita. Anche a Piazza Vittorio, dove i binari sono sgombri, l’orologio va avanti di almeno un’ora, e alla fermata degli autobus c’è una piccola folla che aspetta, trovo una luce estiva, una quiete da chiuso per ferie, ma è evidente che non è estate, perché il verde dei platani è quello denso e luminoso della primavera.

 

 

In un suo documentario mai terminato, Orson Welles sfoglia un album di fotografie che illustrano ‘luoghi dove hanno vissuto grandi uomini e sono nate grandi idee’, e insieme al Partenone, la Grande Muraglia Cinese e la Reggia di Versailles, mette naturalmente il Colosseo. Lo inquadra da tanto vicino che non riesce a farlo entrare tutto nel campo visivo della sua lente. Un po’ quello che è successo a me, che volevo comunque evitare l’effetto cartolina. Solitario, senza turisti né gladiatori finti, l’Anfiteatro Flavio sembra un enorme stadio di periferia nei giorni della settimana in cui non c’è la partita, guardato a vista 24 ore su 24 da un mansueto e protettivo Transformer, la ciclopica gru eretta su Via dei Fori Imperiali per gli scavi della metropolitana.

 

 

I semafori passano dal rosso al verde, poi tornano al rosso, segnaletica inutile per il traffico inesistente di Piazzale Ostiense, restituito alla sua vera natura di ludica piattaforma dove in pieno giorno il sole del primo pomeriggio modella con maggiore definizione linee, forme e volumi ortogonalmente proiettati secondo geometrie che stravolgono l’alto e il basso, il dritto e il rovescio, in un apparente disordine sintattico, eppure riconducibile a un lucido e coerente sistema di spinte vettoriali nemmeno così difficili da intuire. Intorno, il silenzio diurno della Metafisica.

 

 

Decido di fare un salto a San Pietro, e sul Lungotevere, dopo Ponte Vittorio Emanuele, sosto un paio di minuti: so che è la solita fotografia che fanno tutti, ma senza turisti e senza bancarelle oggi il Ponte degli Angeli e la mole del Castello hanno un che di scenografico che li fa apparire come modellini in cartapesta di dimensioni ridotte. Stravista è anche la prospettiva rigorosamente centrale di Via della Conciliazione, ma così deserta e investita dalla luce battente che si riflette sui sampietrini, smette di essere banale, come non può essere banale un sogno. Mi spingo a piedi fino ai bordi del colonnato. Sotto la Cupola di Michelangelo, ai piedi dell’obelisco, le pantere della polizia presidiano una Piazza San Pietro disabitata, vacante, come un luogo abitualmente gremito, stipato di folla, oggi chiuso per lutto in seguito a un fattaccio grave: infatti è sabato di Pasqua, quando Gesù muore in croce.

 

 

La giornata di luce sta per terminare. Approfitto dell’ultimo sole e prima di imboccare il Muro Torto mi fermo a Piazzale Flaminio perché le ombre sulla Porta del Popolo meritano uno scatto. Un concitato crocevia di autobus, treni e tramvai, oggi disertato dalle grandi folle del sabato pomeriggio in centro. A San Lorenzo sarebbe l’ora dell’aperitivo, ma né al Mercato, dove tutti i banchi hanno le saracinesche abbassate, né in Piazza dell’Immacolata c’è ombra di gioventù, studenti, artisti e intellettuali. Su un foglio di carta appiccicato sul muro ocra a sinistra qualcuno, forse più di uno, hanno scritto con pennarelli di tre colori diversi ‘Via i virus’ e un invito a contenere il degrado del quartiere. Solo due anziani senza fissa dimora, un uomo e una donna seduti su una panchina di mattoni e travertino sotto il lampione a ricciolo, intrattengono una stramba conversazione. Lei dice a lui: ‘Se domani è Pasqua, vieni a mangiare da me. Se è Pasqua. Se è Natale, no’, che sarebbe la versione surrealista di ‘Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi’.