Post dissipatio | Paola Dubini

 

Guido Morselli, Dissipatio H.G. La cultura porta in sé il solvente per ciò che la fa vivere e per ciò che la nega. Non ha consistenza, se non ne trova una produttivistica, ma in grazia della sua inconsistenza, checché avvenga di catastrofico, resiste. Resiste e risorge. È una fenice (una fenice garrula e spennata, di preferenza ingabbiata). Per lei non c’è fine del mondo, o la fine stessa del mondo le offrirebbe di che alimentarsi e…

 

le permetterebbe di trovare i modi per stupire, incantare, tormentare, consolare, spronare anche la mente più assetata, il cuore più triste, l’occhio più distratto, l’animo più pesante. Può negare la fine del mondo solo stando nel mondo, insinuandosi con la caparbia energia degli organismi più vitali e confrontandosi continuamente con la sua e la nostra intrinseca fragilità. Solo così sa allargare lo spazio del possibile, premessa indispensabile per immaginare un futuro anche nei momenti più impensabili.

Il presente la fa vivere: offre nuovo significato al passato, perché lo rende immortale. O lo riscopre per un breve periodo, per vezzo, nostalgia, opportunismo. Ma soprattutto, il presente è la sua plastilina, da modellare, distorcere, interpretare, evidenziare; lei si appoggia sugli esperimenti del passato per muoversi a tonfi, a balzi, a passi di gambero, a saltelli, a lievi passi di danza. È difficile che tenga una traiettoria precisa, un ritmo solo, per avere le basi su cui costruire idee e progetti di futuro; è quasi facile lasciarla crescere come un convolvolo, che collega per caso, unisce e a volte soffoca le persone.

Il presente la nega. Le molte distrazioni degli umani la costringono a diventare rumorosa, violenta, vivace, sguaiata, quando di suo sa essere quieta, tenace, paziente. C’è sempre qualcosa di più importante, più urgente, più ricco di cui occuparsi. È facile darla per scontata, ignorarla, parlarci sopra, fingendo un rispetto che non c’è, in modo impreciso, o – quasi peggio – in toni così aulici e pomposi da renderla stucchevole, sgradevole, con quell’odore di acari e quella sensazione di polvere che chiude la gola e offusca lo sguardo. Oppure, trasformarla in una scatola di perline colorate, banalizzarla con l’idea fallace di renderla per questo accessibile, dimenticando la sua funzione di staffetta fra generazioni, fra luoghi, fra persone. Anche le perline colorate hanno valore per le collane iridescenti e multiformi che sapranno diventare e non per il mucchietto di vetri che sono.

Sta alla cultura intrufolarsi nella nostra quotidianità, allargare i gomiti ed esplodere, o generare una crepa, così da diventare un’abitudine come lavarsi i denti o una necessità come accarezzare una persona amata. Sta a noi farle posto, metterci in ascolto, darle una possibilità: sarà uno sbuffo di meraviglia, un inizio di un lungo cammino, una scia di luce di lucciola, una conferma, una curva a gomito.

Non sarà comunque invano.

—Paola Dubini, da Morselli

 

 

 

Post dissipatio

 

Chiara Bettazzi – Diary 2012/2020

Lavinia Siardi – voce e pianoforte

Davide Tranchina – Strada stellare

Eugenio Tattoli – clarinetto

Luca Gioacchino Di Bernardo – Post dissipatio

Paola Dubini – da Morselli

Benni Bosetto – Il portico

Elisa Muliere – Non lo sopporto

Ilaria Bussoni – Loro. Profezie su un mondo che non c’è