La vite e l’antica Roma

La vite e l’antica Roma

Nell’antica Roma, tra le piante ritenute sacre, un posto rilevante era riservato alla vite (Vitis vinifera). Simbolo eloquente di benessere e abbondanza, come il fico anche la vite possiede una storia antica.

La sua coltivazione nasce nella regione del Caucaso, in Armenia e nel Turkestan, dove non solo era coltivata ma anche identificata come “pianta della vita” – la raffigurazione della sua foglia, ad esempio, era utilizzata dai Sumeri, ai quali risalgono i primi riferimenti storici, per simboleggiare la vita stessa.

Attraverso il commercio con i popoli mesopotamici fu introdotta presso i Greci e nelle regioni mediterranee. Successivamente (VIII secolo a.C.) i Greci colonizzarono l’Italia meridionale dandole il nome di Magna Grecia e facendo arrivare la coltivazione della vite nella penisola italica dove la pianta cresceva spontaneamente ma era tenuta incolta dalle popolazioni autoctone, ossia allo stato selvatico. La vitivinicoltura venne così portata avanti prima dagli Etruschi poi, in maniera più evoluta, dagli antichi romani che impararono i segreti della coltivazione e della vinificazione.
Ai Romani, inoltre, si deve la diffusione della vite in quasi tutti i territori dell’Impero dove arrivavano le legioni, in particolare in vaste aree della Francia e della Germania.

In epoca romana la vite, oltre ad avere una funzione legata alla prosperità economica per un mercato che si basava principalmente sul settore agricolo e del commercio, mantenne tutta la sua potenza simbolica. La vite e il vino vennero citati nelle opere dei massimi poeti e scrittori latini, come Orazio, Marziale e Plinio. L’Italia venne inoltre definita da Sofocle (V sec. a.C.) come terra prediletta dal Dio Bacco.

Secondo il mito, Bacco (appellativo romano di quello che per i greci era Dioniso) era figlio di Zeus e di una donna mortale, Semele. Quest’ultima, avendo avuto la superbia di voler vedere Zeus nel suo aspetto reale venne folgorata e morì prima del parto. Zeus però riuscì a salvare il feto del figlio cucendolo nella sua coscia; di lì appunto sarebbe nato il Dio.

Dio della natura feconda e dell’agricoltura, del vino, della vendemmia, dell’orgia panica e dell’ebbrezza, Bacco/Dioniso venne eletto come divinità dell’irrazionalità per gli effetti disinibitori delle sostanze contenute nel vino, andando pertanto a simboleggiare il fluire irruento e continuo dell’universo, l’essenza stessa della vita e dell’immortalità.

Nell’iconografia Bacco/Dioniso venne raffigurato spesso come un uomo col capo cinto di pampini e grappoli d’uva con in mano una coppa di vino o il tirso. A volte si assimilava anche all’immagine di un toro o in forma parziale o totale a un caprone. Possedeva anche un aspetto ctonio, ovvero legato al mondo sotterraneo, tanto che fu a volte associato al Dio Ade.

Bacco durante i suoi riti di ebbrezza orgiastica era accompagnato da un gioioso e danzante corteggio di satiri, menadi, sileni, tiadi e baccanti, ai quali spesso si univano Pan e Priapo. Il suo culto, il baccanale, giunto nella penisola Italica nel II sec. a.C., era un culto misterico, ossia riservato ai soli iniziati con finalità mistiche. Da queste cerimonie sorsero il ditirambo e la poesia drammatica.

Hendrick Goltzius Netherlands, Bacchus, n.d.

 

Nicolas de Launay after Peter Paul Rubens, The Triumph of Silenus, 1775–78

 

Andrea Mantegna, Bacchanal with a Wine Vat, ca. 1470–90