Andrea Santarlasci X HOT SPOT ....

L’intervista all’artista Andrea Santarlasci X HOT SPOT

Il fallimento del progetto moderno e della possibilità stessa di uno sviluppo armonioso dell’umanità nel suo ambiente è oggigiorno molto più che evidente e si colloca con forza al centro del dibattito contemporaneo.

Il percorso espositivo riunisce le molteplici reazioni a queste condizioni da parte degli artisti, attraverso la forza poetica dell’arte. Le opere selezionate approfondiscono la complessità della situazione attuale proponendo più che una visione di denuncia un attivismo estetico che intende stimolare la riflessione e sensibilizzare al disastro, per immaginare un diverso rapporto con il pianeta.

Abbiamo intervistato agli artisti di HOT SPOT – Caring For a Burning World sui temi della mostra

 

Qual è la prima cosa a cui pensa quando dico Hot Spot?

H.S. viene tradotto come punto caldo, ma anche come porta d’accesso, a tale espressione viene attribuita una molteplicità di significati, un termine usato dalla U.E. per definire quei centri che regolano i flussi migratori. Oggi può suggerirci una zona dove si attivano conflitti, ma anche dove si generano trasformazioni. Una dimensione non indolore che potrebbe divenire, utopisticamente, un luogo-soglia, quell’atopia che accoglie il volatile e l’errante, un’opportunità per quel possibile rimasto latente, schermato dall’ ordinata ferocia della superfice del mondo,  un varco di speranza che, purtroppo, nuovamente e all’improvviso può rovesciarsi in limine che brucia, di guerra o di prigionia…

Quale pensa che sia il tema contemporaneo più “scottante”?

Non credo che esista un unico tema prevalente, ma una varietà di urgenti e scottanti argomenti da affrontare: dalle guerre mai finite alle catastrofi  tecno-ambientali, dai flussi migratori alle violazione dei diritti umani… motivi  che confluiscono nella dimensione complessa della sofferenza umana e non-umana, che le nostre società, in un più o meno recente passato, hanno tentato di occultare anche attraverso varie forme di anestetizzazione. Criticità  che si sono originate negli equilibri e disequilibri del mondo, dentro i quali dovremmo riconoscere il fallimento di molte prospettive della modernità e delle sue promesse spesso illusorie.

Come pensa che la pratica artistica possa influenzare attivamente questioni quali il cambiamento climatico?

Non penso che l’arte possa entrare direttamente nelle questioni che riguardano il cambiamento climatico e quindi influenzare la politica poiché anch’essa ha perso quasi completamente la sua autorevolezza, di fronte allo strapotere del linguaggio tecnico-finanziario. L’arte comunque, al di fuori del sistema della pura mercificazione, potrebbe ancora lanciare istanze e soprattutto promuovere una diversa esperienza della conoscenza attraverso  suggestioni e immagini capaci di indurre riflessioni sulla dimensione utopica e distopica della realtà al cospetto della sempre rinnovata difficoltà di abitare il mondo. Anche se credo che nessuna diagnosi o ipotesi di cura potrà  mai attenuare il tremore che stiamo vivendo.

Com’è stato confrontarsi con opere di altri artisti che riflettono su temi simili al suo all’interno della mostra Hot Spot?

E’ sempre bello e istruttivo confrontami con opere di autori  che conosco, stimo e ammiro  da sempre, ma altrettanto interessante e stimolante è stato, come in questo caso, fare incontri imprevisti con opere di artisti che non conoscevo, provenienti da diverse parti del mondo. Nella varietà dei linguaggi e nelle differenti ricerche ho potuto riconoscere delle affinità poetiche anche sorprendenti.

Quale pensa sia la reazione principale dei visitatori alla mostra Hot Spot? 

E’ difficile rispondere a questa domanda poiché l’arte contiene in sé dei vuoti da riempire, rimanendo sempre, come uno specchio,  un’opera aperta capace di lasciare zone di enigmaticità che liberano l’imprevedibile partecipazione  attiva dello spettatore.

Comunque visitando la mostra ho creduto di percepire un doppio messaggio: da una parte che la catastrofe, naturale e di civiltà, presagita dal pensiero distopico dei secoli scorsi, sia già avvenuta, dall’atra che possiamo ancora cogliere l’invito ad una riscoperta empatica del mondo, quella percezione della fine che fa avvertire l’urgenza di sognare l’impossibile latente che potrebbe sussistere nella realtà.

Quale affermazione sceglierebbe per un manifesto di attivismo estetico? 

Un difficile ostacolo per l’arte, ma forse per molti ambiti della società, è la dimensione dell’intrattenimento e del consenso, dove tutto sembra svilirsi.

L’arte, per non divenire vana esperienza, non dovrebbe rinunciare alla sua diversamente eloquente, enigmatica, comunque interrogativa lingua impossibile che rimane una fioca luce in fondo al tunnel.

Dovremmo riconoscere quell’avventura di un’arte capace di far scaturire riflessioni attraverso i propri aspetti estetici che divengono strumenti per intercettare le inquietudini del mondo.

Non solo gli enunciati e gli indispensabili temi, ma anche gli aspetti ineffabili possono essere condivisi socialmente e quindi acquisire valenza politica, anche fuori dalla politica.

Intervista di Giulia Lotti