Daniela Comani X 25 Novembre

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Nella  mostra YOU ARE MINE l’artista Daniela Comani affronta la questione estremamente attuale della violenza contro le donne

Attraverso un’installazione site-specific concepita per il Corridoio Bazzani della Galleria Nazionale, l’artista condivide la propria riflessione esponendo una serie di riproduzioni di articoli di giornale raccolti, selezionati, archiviati e manipolati, che riportano notizie di omicidi avvenuti fra le mura domestiche. Ma questa volta, è dato un punto di vista diverso.

 

Le opere che appartengono alla mostra YOU ARE MINE mettono in campo un rovesciamento sovversivo e dirompente della realtà che la cronaca riversa sulle pagine dei quotidiani, dove troppo spesso si manifesta la violenza perpetrata contro le donne, sotto innumerevoli forme.
Attraverso questo processo, la realtà si trasforma e con un artificio la vittima diventa carnefice, cosa che genera un effetto insolito, di straniamento.
Come hai maturato questo approccio nell’affrontare il tema della violenza di genere?

La questione dei generi è centrale in molti dei miei lavori; già nel 2003, ad esempio, nella serie fotografica Un matrimonio felice, racconto scene di vita quotidiana di una coppia interpretando sia il ruolo della moglie sia quello del marito. Lo stesso artificio si ritrova in Cover Version, un diario mediatico iniziato nel 2007, dove ripropongo, con autoritratti in chiave queer, i soggetti pubblicati sulle copertine di riviste come Time e Der Spiegel, attingendo dalle news rintracciate sulle riviste di politica e economia internazionale attuale. Se questi lavori sottolineano il mio interesse per l’informazione mediatica, la storia e l’identità, le serie Novità editoriali a cura di Daniela Comani (work in progress dal 2007) e My Film History (2012) pongono anche l’attenzione sul persistere della supremazia culturale maschile servendosi dell’inversione di genere adottata per gli articoli di cronaca nera che hanno dato vita all’installazione di YOU ARE MINE.

La modalità di diffusione di questi eventi di cronaca così analoghi gli uni agli altri, quasi fossimo noi lettori stessi ad essere anestetizzati da questi eventi, mi ha permesso di vedere nell’inversione di genere uno strumento efficace per riflettere sul tema e per mostrarne l’assurdità dei gesti senza “puntare il dito” ma con l’intenzione di generare un dialogo aperto e silenzioso con lo spettatore. Quando si invertono i fattori di genere questi gesti sembrano assurdi, e credo che l’assurdità – a volte anche l’ironia apparente che ne risulta – sia più efficace di una dichiarazione esplicita su un tema, o meglio sul tema del giorno: il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne!

 

Quanto appartiene alla tua sfera di interesse l’indagine attorno al medium e alle sue possibilità o limitazioni?

L’identità di genere insieme all’uso del linguaggio sono temi che ricoprono da tempo un ruolo importante – direi fondamentale – nella mia prassi artistica.

In YOU ARE MINE, il punto di partenza è stato il medium della stampa; ho sempre raccolto ritagli di giornale, articoli di cronaca pubblicati in forma cartacea o presenti online, in una sorta di archivio che per questa occasione è stato essenziale per dare forma all‘opera. In particolare, dal 2013 ho cominciato a raccogliere notizie sul fenomeno del femminicidio perché la ripetitività e omogeneità della comunicazione dei fatti, ha generato il bisogno di mostrare l’incapacità di comunicare la portata drammatica di un fenomeno che sì si ripete, ma si ripete costantemente in forma diversa. Le parti hanno una propria identità, le dinamiche interpersonali sono costantemente diverse tra un fatto e un altro, e questo lavoro aspira a voler smuovere questa riflessione, unendo così la denuncia ad una considerazione critica del mezzo di comunicazione.

 

Foto di Adriano Mura

 

Ascolta l’intervista dell’artista a Radio3 Suite – Magazine con Andrea Penna