Micro e Macro. Intervista a Wang Yancheng

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La pittura di Wang Yancheng incorpora tecniche, tradizioni e riflessioni che provengono da contesti e culture differenti tra loro: la pittura tradizionale cinese, l’astrazione lirica occidentale, con una sensibilità particolarmente vicina ad alcune manifestazioni storiche francesi, fino a sfiorare la pittura gestuale e la presenza corporea della pittura materica.

 

 

Nella mostra Micro e Macro alla Galleria Nazionale, Wang Yancheng mette in campo il rapporto con lo spazio, il paesaggio e la natura, ma anche la dinamica della loro osservazione al di là dei limiti fisici dell’occhio, ma non delle capacità visionarie della mente. Micro e Macro sintetizza tensioni tra la natura e il sé e sembra suggerire l’esistenza di un rapporto dialettico tra le forze dell’universo e le forze della mente umana, tra mondi visibili e invisibili.

In questo equilibrio – o forse in questa incertezza che secondo Wang Yancheng permea profondamente la cultura cinese – il paesaggio, i suoi prodromi, o le sue rovine, si trovano sospesi tra figurazione e astrazione, senza mai concedersi né sottrarsi completamente all’una o all’altra.
Secondo l’artista, i confini del paesaggio, così come quelli dello sguardo, sono sottoposti a una prova di elasticità: in alcune superfici pittoriche sembrano espandersi fino a offuscare il campo visivo, in altre si condensano in minuscole e improvvise apparizioni. Oltre che nella pennellata, il paesaggio prende forma o scompare nel frammento, nell’impronta, nella pura materia, nelle lunghe stratificazioni temporali.

Ciò che tiene in tensione questo equilibrio tra visibile e invisibile, è la concezione di una dimensione esistenziale di dispersione, che abbraccia l’uomo, la natura, il cosmo. Non si tratta di negazione – non siamo infatti posti davanti ad alternative contrarie e inconciliabili – si tratta piuttosto della dissoluzione di un’alternativa nell’altra, universo e microrganismi, visione “illuminata” e lenti tecnologiche, paesaggio e movimento.

In questa intervista, Wang Yancheng suggerisce che nel rapporto tra figura e astrazione disperdere il paesaggio apra all’idea di un “fuori” assoluto, nel rapporto tra uomo e natura, disperdere il sé apra a un sé più profondo. La dispersione, questo gettar via diventa un momento necessario a raccogliere e liberare forze ed energie, che servono all’artista a immaginare il futuro e a ritrovare sempre sé stesso, attraverso tutte le continue trasformazioni che attraversiamo nella vita.

Intervista a cura di Francesca Palmieri

 

 

Quali sono gli elementi più importanti che hanno influito nel tempo sul suo rapporto con la pittura? Che ruolo ha avuto la Francia nell’evoluzione del suo lavoro?

Cercherò di dare una risposta articolata che condensi diversi aspetti del mio approccio all’arte. Per cominciare direi che per me, come artista, la cosa più importante è l’artista stesso, il suo “io mutato”. Cercherò di darne qualche esempio.

Come artista, ho vissuto il grande cambiamento della Cina negli ultimi 50 anni con le sue riforme e le sue aperture, ma da giovane ho affrontato tante grandi difficoltà, come ad esempio quando sono stato mandato a vivere in campagna. Quel momento è stato fondamentale per me, perché è stato lì che ho temprato la mia anima. Se un artista riesce a vedere luminoso il proprio futuro anche nei momenti più difficili, riuscite a immaginare quanto sia il profondo desiderio della sua anima?

Più avanti sono stato il primo artista a presentare l’arte contemporanea cinese in Francia, e tra i primi a lavorare negli Stati Uniti e in Italia. La Francia ha alimentato profondamente la mia evoluzione artistica, per il modo in cui accoglie gli artisti e per la totale libertà che offre di fare e di creare con amore. In Italia, visitando diversi musei ho potuto osservare il passato, il presente e il futuro dell’arte. Della Galleria Nazionale mi hanno colpito particolarmente l’amore e la sensibilità per spazio, forma e colore, che si fonde simbioticamente con il lavoro degli artisti, abbattendo le barriere di spazio e tempo.

Questo atteggiamento di apertura mi ha permesso di integrare continuamente culture diverse: la cultura cinese – in cui anche il pensiero sull’arte è stato influenzato dall’integrazione delle tre grandi religioni Taoismo, Confucianesimo, Buddismo – e la cultura occidentale. Penso che non esista una contraddizione intrinseca tra la cultura cinese, la pittura tradizionale cinese e la pittura a olio occidentale, inclusa l’arte contemporanea. Pensare al futuro in modo aperto dovrebbe essere sempre un principio guida nel percorso di un artista.

 

 

Come descriverebbe oggi il suo approccio fisico alla pittura e ai gesti che questa richiede?

La cosa più importante nella mia pittura è essere incisivo e libero nel creare, ovvero agire in uno stato rilassato e vuoto, così che tutto possa realizzarsi: tutto è al tempo stesso in uno stato controllabile e incontrollabile, naturale e innaturale, rispettoso e irrispettoso, perfetto e imperfetto.
La creazione artistica deve saper abbattere i muri dell’abitudine, dello studio, delle tecniche apprese. Bisogna svuotarsi per poter ricostruire la propria identità in una realtà in continuo mutamento.

Quando ero in Cina, ho avuto la fortuna incontrare l’undicesimo Panchen Lama, che mi ha fatto “vedere” il concetto di esistenza. Col tempo, questo concetto è poi germogliato in me naturalmente.
Ogni cosa, che si tratti delle mani, dei materiali, o dei mezzi tecnici della pittura, deve entrare in te e una volta che ti ha pervaso diventerà una sorta di coscienza latente che troverà da sola il proprio modo di esprimersi.

Nel buddismo esiste il concetto di “illuminazione fisica”: se conservi nella memoria del tuo corpo e della tua anima tutte le esperienze di vita, le conoscenze delle tecniche pittoriche, dei materiali, dei tempi, di tutte le cose digerite, quando tutti questi problemi saranno risolti, allora le tue emozioni si presenteranno naturalmente nell’opera.

 

 

Qual è la sua posizione come artista rispetto ai punti di contatto tra scienza e arte?

Penso che per un artista sia molto importante indirizzare gradualmente il suo pensiero verso il futuro e lasciare che le sue opere contribuiscano allo sviluppo della società e dell’umanità.
La cultura cinese è profondamente influenzata dal “SI YU BU SI” termine che si potrebbe genericamente tradurre in “incertezza”, ma i futuri artisti, per avere uno sguardo sul futuro, devono avere anche un nuovo bagaglio tecnologico spingendo all’estremo la ricerca sui materiali e sulle tecniche.
L’apporto più importante che la scienza può offrire a noi artisti è un altro sguardo. Di solito non possiamo abbracciare tutta la realtà solo a occhi nudi, abbiamo bisogno di nuovi e più sofisticati strumenti e allora è necessario studiare l’antropologia, la scienza dei materiali, il microcosmo, la genetica. La scienza ci offre questa possibilità, ci permette di rivelare verità nascoste, ci permette di rinnovarci attraverso altri sguardi, più profondi.

Ciò che abbiamo visto per molto tempo nella storia dell’arte è stata l’apparenza della realtà. Guardandola ora, con nuovi occhi, la realtà può diventare ancora più essenziale e vera.
Corpi microscopici vengono ingranditi milioni di volte, la loro verità viene svelata in laboratorio. La scienza e la tecnologia hanno portato un progresso rivoluzionario e rapido, io penso quindi che un artista debba essere inclusivo. Il microscopico e il macroscopico devono convivere in una combinazione di amore e scienza. Questa fusione porta a una nuova energia, a una nuova rivelazione per la riscoperta del futuro.

 

 

Qual è l’idea del rapporto tra uomo e natura/spazio che sostiene la sua ricerca pittorica?

Parlavo poco fa di un atteggiamento di apertura e contaminazione tra culture, prospettive, punti di osservazione della realtà.
Grazie a questa forma di apertura, “sento” che energie microscopiche sono alla base del cambiamento del mondo, e io come artista cerco di interpretare questo cambiamento.
Voglio essere un “ponte di mezzo” che legge cambiamenti microscopici e macroscopici della natura attraverso lo spazio e il tempo.
Questo, naturalmente, comporterà anche un mio profondo cambiamento interno, una trasformazione, quello che ho chiamato l’io mutato. Tra 10 anni avrò lo stesso nome, ma sarò molto diverso.
Amo la metafora cinese del topo come capacità di continuare a sopravvivere in qualsiasi condizione. Io mi sento così, attento ai continui mutamenti del mio ambiente e di conseguenza capace di modificarmi.

 

 

Quali sono le nuove energie ed esigenze creative che si stanno affacciando nella sua ricerca negli ultimi tempi?

Ho uno stile, il mio stile, in esso è concentrato un lungo “allenamento” fisico e mentale in cui fluisce tutta la mia energia. Questo “allenamento” non ti fa cadere perché il tuo subconscio mantiene l’equilibrio. Il percorso di creazione, il tempo destinato alla realizzazione deve lasciare traccia nell’opera, l’artista deve essere continuamente concentrato durante tutto l’arco creativo.
Al tempo stesso bisogna concentrarsi per non perdersi sotto la pressione della tradizione, in Cina usiamo la metafora del “cerchio d’oro sulla testa”: bisogna liberarsene costantemente[1].

In questo processo di liberazione, di “gettare via”, si realizza il sé che pone domande e risposte al futuro. Attraverso il gettare via, la propria crescita troverà la sua anima ed energia che si scontreranno direttamente con la tela, dimostrando gradualmente il valore di porre domande sul futuro.

Un artista è sincero quando si è liberato, quando tutta la sua pressione è stata alleviata, allora si avvicinerà a questo tipo di nuovo futuro, passo dopo passo.

 

[1] L’incantesimo del cerchio d’oro si riferisce al famoso romanzo cinese “Viaggio in Occidente” di Wu Cheng’en, in cui il monaco Xuanzang usa un incantesimo per tenere sotto controllo il Re Scimmia tramite un cerchio d’oro posto sulla sua testa che poteva stringersi magicamente, provocando così un mal di testa insopportabile. L’espressione indica comunemente una persona sottoposta a vincoli.