Intervista a Maria Elisabetta Novello

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La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ospita le personali Just measuring unconsciousness di Gregorio Botta e Each Second is the last di Maria Elisabetta Novello, dedicate alla memoria di Lea Mattarella.

Each Second is the last. Maria Elisabetta Novello a cura di Ilaria Gianni costruisce un percorso narrativo composto dal susseguirsi e l’intrecciarsi di tre gruppi di lavori che investigano l’idea di temporalità infinita. Alla base della poetica di Novello è una ricerca sulla trasformazione. Il suo è un tentativo di analizzare e restituire un’interpretazione visiva di un’analisi sul tempo, riflessa anche nell’elaborata scelta dei materiali di cui spesso fa uso, come la cenere, il carbone, la polvere, materia che, seppur impalpabile, più di qualsiasi altra conserva le tracce del reale.

 

 

Intervista a Maria Elisabetta Novello di Massimo Mininni

1 – Massimo Mininni: ogni gesto è un evento, si potrebbe quasi dire: un dramma in sé (Walter Benjamin). Maria Elisabetta Novello, sei un’artista aperta all’uso dei diversi media espressivi che vanno dalla performance alle installazioni, dalla fotografia al disegno, linguaggi differenti ma che hanno come denominatore comune la riflessione sul corpo in tutti i suoi aspetti. Sei attratta, mi sembra, soprattutto dall’equilibrio che la struttura fisica stabilisce con lo spazio che la circonda. Tutti i lavori esposti nella mostra Each Second is the last si basano sul definire i movimenti del corpo attraverso precise coreografie, sul dargli nuove possibilità, per contrastarne l’inevitabile trasformazione?

Maria Elisabetta Novello: La mia direzione credo si riconosca nella poetica, non tanto sul mezzo espressivo. Certo il materiale o i media espressivi che uso sono importanti ma prima c’è il pensiero, quello sento, che cerca la forma giusta per esprimere nella maniera più sincera il mio sentire. In tutti e tre i gruppi di lavori esposti in mostra il corpo è lo “strumento” che misura lo spazio e il tempo. Per me è importante il processo, il passare, l’agire in un ambiente, in un luogo, è un po’ come voler affermare l’esistenza stessa. Ogni lavoro ha una stretta relazione con una riflessione esistenziale in cui il tempo ha un ruolo centrale e l’azione è il mezzo per essere partecipativa e attiva, non spettatore della propria vita e del mondo, ma essere in azione che opera nell’atto e nella conseguente responsabilità di esso.

 

 

2 – M.M.: tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni. (Rita Levi Montalcini). I tuoi corpi vibrano direttamente nello spazio, modificandone la percezione. Non è un caso che per alcune delle tue performance utilizzi ballerini professionisti, che attraverso il sapiente uso di movimenti, luci, rumori e musica, diventano metafore concrete di qualcos’altro che non è visibile. Ogni gesto, amplificato nel suo uso, assume una sfumatura inattesa, coinvolgendo lo spettatore su una riflessione sulla vita. Il sottofondo del video, restituzione della performance Sursum Corda 2017, è il tuo battito cardiaco: i protagonisti si muovono al suo ritmo; tutto il progetto è arricchito da altri materiali (foto, elettrocardiogrammi, registrazioni sonore, ecc.) in cui il cuore è protagonista. Il cuore è spesso associato al Sole. Come il Sole è il centro pulsante del sistema solare che tiene in vita tutto il mondo, così il cuore umano assolve a una funzione simile, ci riscalda e ci tiene in vita. Questa serie di lavori ci parlano della nostra interiorità sofferta? Ci raccontano di una realtà in cui il processo di interscambio con il mondo diventa il modo in cui questo esiste per noi e noi esistiamo in esso?

M.E.N.: questa serie di lavori tenta di aprire i confini al proprio mondo interiore. Sursum Corda è un lavoro basato sulla consapevolezza dell’essere prendendo come azioni principali quelle azioni fondamentali abituali che ci tengono in vita, il ritmo pulsante che scandisce senza interruzioni il ritmo della vita.

– il respiro
– il battito del cuore
– le emozioni

Sentirsi vivi, provare emozioni, recuperare la capacità a sentire. Sursum Corda è una riflessione sul nostro posto di appartenenza nel mondo. C’è sempre una soglia di cui dobbiamo tenere conto che segna il confine di qualcosa, di un luogo con un altro luogo, del cielo con la terra, del dentro con il fuori, del pubblico con il privato, di noi con il mondo, di me con l’altro.
C’è sempre una relazione con ciò che sta dall’altra parte; divide e unisce allo stesso tempo, è duplice e ambivalente. Sursum Corda vuole anche essere lo strumento per riflettere sul tempo, e sullo spazio che c’è tra lo spettatore e l’opera e tra me e l’altro. Nell’azione io sono tra il pubblico, spettatrice fra gli spettatori, il mio corpo è connesso a una macchina che rileva il mio battito, le mie emozioni. Attendo un qualcosa che sta per accadere, ed è il mio battito a decidere, facendosi sentire, scandendo il ritmo. Dall’altra parte ci sono l’opera, i danzatori, gli artisti, la danza generata dal mio rumore. I danzatori si muovono al ritmo del mio cuore, e al contempo il mio cuore è aritmico a causa delle emozioni dettate dalle torsioni del danzare. Si tratta quindi di un circuito chiuso ma comunicante, un continuo flusso di andata e di ritorno tra spettatore e opera, un gioco di specchi e di rimandi che pone la domanda su cos’è l’opera, sul ruolo dell’artista, sul ruolo di chi la guarda.  Sursum corda è l’artista, è l’opera, è l’altro. Sursum corda è il tentativo di capire l’incomprensibile, cercare l’irraggiungibile, il tentativo di oltrepassare i limiti, è il desiderio di imparare per comprendere, è il sospiro, la libertà, il tentativo, è l’incoraggiamento a portare in alto i nostri cuori.

[…]

L’intervista completa sarà pubblicata nel catalogo della mostra Each Second is the last. Maria Elisabetta Novello edito da Silvana Editoriale
Foto di Maris Croatto