Mimmo Rotella, la blog serie

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Mimmo Rotella

Mimmo Rotella, Matrix (dettaglio), 2004
Collezione privata, Milano

Dal 10 al 25 dicembre su What’s on?, il blog della Galleria Nazionale, una serie di sei episodi sulla mostra Mimmo Rotella Manifesto con alcuni estratti del catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale.

S1E1: Assemblages (1953) e Décollages (1954-1963)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Assemblages (1953) e Décollages (1954-1963)

 

Nell’insieme-manifesto si documentano i lavori di Mimmo Rotella iniziati dopo un’importante esperienza pittorica e didattica negli stati Uniti, tra il 1951 e il 1952. Tornato a Roma, dopo una crisi creativa, l’artista decide di abbandonare la pittura. Riflette sulle tecniche del collage e dell’assemblage, scoprendo le potenzialità astratte di materiali coma la juta, il vetro e la carta dei manifesti, utilizzati per esempio in Naturalistico (1953), esposta in basso a sinistra all’estremità della prima parete manifesto.

Tra il 1953 e il 1954 Mimmo Rotella comincia a prelevare pezzi di affiches dai muri di Roma. Assembla questi frammenti cartacei in studio, attento alle stratificazioni e agli accostamenti cromatici, lacerandoli una seconda volta con le mani, il manico del pennello o un raschietto e applicando il risultato su un supporto, come in Collage 12 (1954), Moulin rouge (1955), Sul muro (1958).

 

Mimmo Rotella, la blog serie
Mimmo Rotella, Collage 12, 1954
Collezione privata, Milano

 

Le prime opere così realizzate sono mostrate nel 1953 nello studio situato vicino a Piazza del Popolo ai critici Emilio Villa e Cesare Vivaldi. Sono i décollagesperché non sono collage, ma esattamente il contrario“. Alla nuova tecnica si appassionano anche scrittori come Leonardo Sinisgalli, galleristi come Carlo Cardazzo e collezionisti come il barone Giorgio Franchetti.

 

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Mimmo Rotella, Sul muro, 1958
Collezione privata, Milano
Courtesy Fondazione Marconi

 

Negli anni successivi, dalle lacerazioni l’artista fa emergere le immagini e i racconti figurali rappresentati sui manifesti. È il segno di un interesse crescente per l’iconografia di massa che corre parallelo alle ricerche della Pop Art americana, consacrata alla Biennale di Venezia del 1964 con il Premio internazionale alla Pittura assegnato a Robert Rauschenberg. A quella stessa Biennale, Mimmo Rotella espone nella sala a lui dedicata grandi décollages realizzati negli anni immediatamente precedenti, come Marilyn Monroe (1963). Dopo il trasferimento a Parigi nel 1964 abbandona la tecnica, salvo qualche raro ritorno, per una ventina d’anni.

 

S1E2: Retro d’affiches (1953-1961)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Retro d’affiches (1953-1961)

 

L’insieme manifesto ha il proposito di mostrare, in un unico agglomerato di retro d’affiches, questa tipologia di lavori iniziata nel 1953 le cui ultime declinazioni risalgono al 1961.

Come nei décollages, gli elementi base per la loro realizzazione sono i manifesti prelevati direttamente dalla strada. In questo caso però è presentato il verso delle carte, sulle quali sono rimasti pezzi di intonaco, tracce di ruggine, colle, muffe, frammenti di carta, terra. Sono le sedimentazioni provenienti direttamente dal muro , trascinate via e rimasta impigliate nella parte retrostante del manifesto durante l’azione di strappo. Questa tecnica, adottata dall’artista parallelamente a quella del décollage, trova assonanza con le sperimentazioni sulla materia che negli cinquanta stavano conducendo Alberto Burri e Toti Scialoja a Roma.

 

Mimmo Rotella, la blog serie
Mimmo Rotella, Argentina, 1957
Collezione privata, Milano
Courtesy Fondazione Marconi

 

I retro d’affiches sono strettamente connessi all’interesse di Mimmo Rotella per la disgregazione della sintassi compositiva di stampo futurista e al gusto per la libertà di linguaggio che lo aveva portato nel 1949 a codificare il Manifesto dell’Epistaltismo: una dichiarazione di poetica sul potere evocativo delle parole e del loro suono poste in libertà e senza relazione ad alcun significato logico.

La prima apparizione pubblica dei retro d’affiches avviene nel 1955: ne parla Leonardo Sinisgalli in un articolo su “Civiltà delle macchine” e sono esposti a dicembre presso la Galleria del Naviglio a Milano. Sulla materia, intesa come “poetica dell’informe” (Sinisgalli), torna anche l’artista in alcune dichiarazioni: “si tratta di una ricerca che si affida non all’estetica, ma all’imprevisto, agli umori della materia. È come una tromba, un tamburo, il sassofono”. E ancora: “nel 1953, camminando per le strade di Roma ero attratto dai manifesti-materia sui muri. Erano un vero stimolo alla fantasia”.

 

S1E3: Riporti fotografici (1963-1968) e Artypos (1966-1974)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Riporti fotografici (1963-1968) e Artypos (1966-1974)

 

Le tecniche del riporto fotografico e dell’artypo presentate in questo insieme-manifesto sono accumunate all’interesse di Rotella per i procedimenti di riproduzione fotomeccanica dell’immagine. Dal 1963 l’artista sperimenta con i riporti fotografici tramite la proiezione di un’immagine preesistente su una tela preparata con un’emulsione: si tratta di un gesto di approvazione, sia che trasporti le fotografie virate in seppia di un suo dècollage (Violenza segreta, 1963), sia che riporti insiemi randomici di colori (Centrale idroelettrica, 1966), scatti di cronaca (Jacqueline Kennedy, 1963) o autoritratti (Autoportrait, 1965), selezioni di riviste osé (Bondage, 1968) o gli emeblemi più crudi degli anni di piombo (Italy’s trial, 1979).

 


Mimmo Rotella, Bondage, 1968; Mimmo Rotella, Italy’s trial, 1979
Courtesy Fondazione Mimmo Rotella
Collezione privata, Milano

 

Con questa tecnica Mimmo Rotella si dimostra ricettivo nei confronti delle più avanzate linee della ricerca artistica europea, inserendosi nel gruppo franco-italiano della Mec-Art, di cui Pierre Restany organizza la prima mostra alla Galerie J a Parigi nel 1965.

L’interesse per la tipografia sfocia negli artypos (termine che deriva dall’unione di “art” e “typographie“), realizzati prelevando i “fogliacci” usati nelle stamperie per tarare i colori dei manifesti: scarti materiali elevati a lavori d’arte. Le possibilità compositive diventano infinite sfruttando gli intrecci comunicativi propri del manifesto, il cui messaggio visivo è esaltato oppure depotenziato, come avviene in Olio extra (1966) e Acrobazie (1967).

 


Mimmo Rotella, Sei tu Baby, 1974
Courtesy Fondazione Mimmo Rotella

 

S1E4: Blanks (1980-1982)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Blanks (1980-1982)

 

Nel 1980 Mimmo Rotella lascia definitivamente Parigi per trasferirsi a Milano. Il manifesto torna ad essere il fulcro della sua sperimentazione. Come succede per le strade quando il tempo di affissione è scaduto, l’artista decide di coprire il manifesto con veline di carta colorata. Sono i blanks (o coperture), così battezzati da Pierre Restany, realizzati perlopiù tra il 1980 e il 1982. Se la vita bohémien aveva caratterizzato il periodo francese, facendo scivolare il suo immaginario, con la produzione di frottages e dell’effaçage, da un soggetto di tipo sociale e pubblico a uno più personale, dopo il trasferimento in Italia il suo sguardo si focalizza di nuovo sulla scena esterna rappresentata dai manifesti. Ne copre tutta la superficie o alcune parti per mettere in discussione la loro aura affermativa e rassicurante.

 

Se le opere si sono finora caratterizzate per una sovrabbondanza di immagini, le coperture, come Blank viola (1980), Blank etoilé (1980-1981) e Blank crepato (1980), si distinguono per il loro aspetto astratto e monocromatico e per la tabula rasa di ogni contenuto.

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, Blank viola, 1980
Collezione privata, Milano

 

Solo in alcuni casi minime tracce della vita quotidiana affiorano da sotto le veline. Dettagli di qualche immagine fanno a volte capolino e sgusciano dal colore piatto del foglio di carta, come accade in Sempre più bella (1980), Relax (1981) e Bevete Coca-Cola (1982).

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, Bevete Coca-Cola, 1982
Collezione privata, Milano

 

Il ritorno di Mimmo Rotella sulla scena milanese coincide con un brusco cambiamento di vita e di impegno e con un’accentuata sensibilizzazione politica. Siamo nel periodo degli anni di piombo e, in quanto interprete in prima linea della scena urbana, i fatti cruenti ai quali assiste e che documenta fotograficamente costituiscono per  lui un violento cortocircuito ideologico.


S1E5: Acrilici (1984) e Sovrapitture (1988-1995)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Acrilici (1984) e Sovrapitture (1988-1995)

 

Il quinto insieme-manifesto mostra la svolta linguistica avvenuta negli anni ottanta, quando Mimmo Rotella torna a dedicarsi alla pittura declinandola secondo due direttrici principali: l’acrilico su tela e le sovrapitture. Dal 1984 l’artista riprende i manifesti del cinema dipingendoli su grandi tele che risentono del neoespressionismo figurativo comune alla Transavanguardia italiana di Sandro Chia e Francesco Clemente, alla Bad Painting di David Salle e Julian Schnabel, al grafittismo di Keith Hairing e Jean-Michael Basquiat.

Questo avviene in Cabaret (1984), dove la figura energica di Liza Minnelli si staglia su un fondo piatto di colore azzurro da cui risaltano i segni del disegno preparatorio a matita. La prima mostra di questo nucleo si tiene nel settembre. ottobre dello stesso anno presso lo Studio Marconi di Milano, il cui titolo, “Cinecittà 2”, allude non solo al cinema – fonte primaria dei soggetti di questi lavori – ma anche all’esposizione parigina alla Galeria J del 1962 dedicata al grande schermo.

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, Cabaret, 1984
Collezione privata

 

In sintonia con il nuovo sentire postmodernista, questo nucleo evolve nel 1986 nella sovrapittura, tecnica che consiste in un intervento grafico o pittorico sui manifesti lasciati integri o precedentemente lacerati: si caratterizza per “impasti pesanti e squillanti […] in cui [Mimmo Rotella] adatta la velocità del suo gesto pittorico alla staticità del manifesto” (Celant). Questa osmosi si esprime con particolare vigore in CeSSna (1988) e in Profili (1992-1994), dove è evidente l’integrazione di rifuggire la ricerca estetizzante della pittura tradizionale a favore dell’immediatezza gestuale e visiva.

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, CeSSna, 1988
Collezione privata

 

Lo sforzo espressivo e veicolato dall’atto pittorico trova ulteriore conferma nel grande formato e nel supporto metallico, tipici dei cartelloni pubblicitari su strada, che assurgono “a una dimensione diversa da quella di semplice struttura di sostegno, diventando parte integrante del lavoro” (Soldaini).

 

S1E6: Décollages (1992-2004) e Nuove icone (2003)

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella Manifesto: Décollages (1992-2004) e Nuove icone (2003)

 

In quest’ultimo insieme-manifesto è documentata la fase finale dell’attività di Mimmo Rotella. L’artista, affermatosi per i suoi décollages sin dagli anni cinquanta, torna a questa tecnica con fervore crescente e rinnovata energia. A interessarlo è ancora, come nel momento del Nouveau Réalisme, la riappropriazione del reale. Torna a prelevare dai muri cittadini interi bandoni metallici arricchiti da strati di manifesti già consumati, strappati, lavati dalle piogge, limitando il suo intervento alla scelta e a pochi ritocchi, come in Indella (1992). Alla casualità degli accostamenti cromatici e all’aspetto prettamente materico si associa la grande dimensione (150 x 300 cm), rendendo orni reperto un frammento monumentale del panorama urbano. Altri décollages conservano la forza mediatica dei manifesti, con le immagini del cinema (Matrix, 2004), del circo (Attenti, 2004) o della pubblicità (Escort, 1998).

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, Attenti, 2004
Collezione privata, Milano

 

Non senza una dose di nostalgia, Mimmo Rotella torna anche alle icone cinematografiche consumando, attraverso gli strappi, le immagini di grandi divi come Sophia Loren (Judith, 1966-1999), Elvis Presley (Il re del rock, 2003), Marilyn Monroe (Mirabilia e I Riflessi di Marilyn, entrambi del 2004).

 

Mimmo Rotella
Mimmo Rotella, I Riflessi di Marylyn, 2004; Mimmo Rotella, Mirabilia, 2004
Collezione privata, Milano
Courtesy Fondazione Mimmo Rotella

 

Il manifesto, come materiale d’elezione, continua a essere il catalizzatore dell’immaginario dell’artista. Il suo potere, il potere delle immagini, può essere ulteriormente attenuato o alterato da veline colorate o da interventi pittorici, come in Il diavolo nero (2003) e Riflessione (2003), esempi di quel nucleo che Pierre Restany definì delle “Nuove icone”.

 

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Mimmo Rotella, Il diavolo nero, 2003; Mimmo Rotella, Riflessione, 2003
Collezione privata, Milano
Courtesy Fondazione Mimmo Rotella