Il contributo di Anton Giulio Onofri per la webserie HERCULES – Che fatica!
Herakles (Ercole)
di Werner Herzog
1962, Cortometraggio/Bianco e Nero, 12’
Da bravo germanico nipotino di zia Leni, il ventenne Werner Herzog iniziò la sua carriera di cineasta filmando pettorali, addominali, deltoidi e bicipiti sotto sforzo di Reinhard Lichtenberg, Mister Germania 1962, inquadrati in dettaglio e illuminati in controluce per esaltarne la plasticità scultorea, così come la Riefenstahl aveva orchestrato con immagini di umida e terrestre suggestione il meraviglioso, sognante preludio di Olympia, il suo film sui Giochi Olimpici di Berlino nel 1936, accarezzando con l’obiettivo i ruderi dell’antichità ellenica e le muscolature delle atletiche sculture animate di tedofori e discoboli per risalire alle origini mediterranee della razza ariana.
Ma Herakles (Ercole), primo cortometraggio di un autore tra i più prolifici del cinema della contemporaneità, girato in 35 millimetri con una cinepresa rubata alla Scuola di Cinema di Monaco di Baviera (il giovane Herzog considerava il 16 millimetri un formato troppo ‘amatoriale’ per le sue già chiare e convinte ambizioni), non potrebbe essere più distante dalle intenzioni della Riefenstahl: il mito viene rovesciato, l’omoerotia fascistizzante del bianco e nero di Olympia viene privata di qualsiasi effusione celebrativa del mito e di una idealizzata virilità, per lasciar prevalere il cinismo e l’ironia iconoclasta di uno studente tedesco che a poco più di 15 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale deve ancora fare i conti con i fantasmi di un passato terribile da scontare, ancora – siamo nella Germania del 1962 – tutto da decodificare: agli occhi di un ventenne che vive in una nazione rasa quasi interamente al suolo pochi anni addietro, annientata nella sua fisicità e nel suo spirito, gli atleti massicci e possenti delle Olimpiadi di Berlino che la Riefenstahl pensò di riuscire (e ci riuscì!) a divinizzare con le proprie immagini allo scopo di glorificarne la radice ariana, diventano quasi pupazzi meccanici che agiscono come marionette prive di coscienza e si costruiscono addosso un’impalcatura corporale la cui forza serve a poco o niente, nel nome di un’ossessione per sé e per il proprio aspetto esteriore epurato di qualunque senso etico e morale: all’Ercole e ai suoi colleghi che si allenano in palestra davanti alla cinepresa di Herzog, e che si espongono al pubblico come esemplari di edonismo estetico maschile, non si potrà mai chiedere di affrontare le mitiche fatiche, delle quali sei su dodici vengono esplicitamente indicate in didascalie sotto forma di quesito: ‘Ripulirà costui le stalle di Augia?’, ‘Sarà in grado di uccidere l’Idra di Lerna?’, ‘Riuscirà a rubare le cavalle di Diomede?’, ‘Sconfiggerà le Amazzoni?’, ‘Dominerà i Giganti?’, ‘Resisterà agli uccelli del lago Stinfalo?’… Per tutta risposta, montate in alternanza agli imperturbati esercizi agli attrezzi del moderno Ercole, scorrono in corrispondenza dei luoghi del mito e delle creature fantastiche evocate nelle scritte in sovraimpressione, immagini di attualità (discariche di rifiuti, una lunga coda di automobili immobilizzate dal traffico, corse automobilistiche funestate da spaventosi incidenti, donne soldato in marcia, macerie di città distrutte, e bombardieri in volo che sganciano ordigni) che frantumano l’aura leggendaria dell’antico eroe greco rivelando, del ragazzone che nel filmato si destreggia con manubri e bilanceri, la prosaica vanitas di un maschio-oggetto impermeabile ed egoriferito.