“Uso l’azzurro perché… è un colore in cui siamo immersi continuamente”.
Ettore Spalletti
Foto di Adriano Mura
“Dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba e poi la notte per un solo battito di ciglia. Non è mai quello dell’equinozio il tempo che Spalletti ha provato a definire, è quello di un solstizio mediterraneo, dello sguardo a perdita d’occhio di una lieve foschia tra cielo e mare, tra cielo, nebbie e nuvole. È anche il giorno infinito di altre latitudini, dove la notte è solo appena scura, grigia di un grigio che promette luce.
Il tempo naturale di Spalletti è fatto di impercettibili variazioni ottenute mischiando i colori del cielo. È un tempo che dura, che si trattiene, che indugia e resta sospeso. La sua cifra è questo evento impalpabile. Ha ritagliato un pezzo di azzurro, ha scolpito il colore, ci ha regalato un grammo di cielo. La sua disarmante lieve, soffusa energia promana dalla tensione poetica che è riuscito a tradurre in pittura, un’attenzione assoluta che trascolora e da cui viene attraversato per farne parte. Un desiderio così pervasivo da creare e plasmare ogni volta luoghi per la sua utopia: il suo studio, le sue mostre, la sua casa, i minimi dettagli della sua esistenza. In sintonia con un’idea impossibile infine, ma di cui ha sempre ricomposto e salvato i frammenti.
Poi un giorno ha preso la luce del cielo e l’ha messa in mezzo al marmo, ha creato una scatola di colore magica e magnetica e chi si avvicina entra a far parte dell’incanto.”
Cristiana Collu, Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Foto di Werner J. Hannappel
Courtesy Studio Ettore Spalletti
“Architettura, pittura e scultura, spazio e tempo, superficie e ambiente, passato, presente e futuro… si compenetrarono gli uni negli altri, scandendo di mostra in mostra le ore di una giornata al contempo unica e triplice. Essa – e lo capimmo solo nei giorni a seguire le singole inaugurazioni – non solo avrebbe costituito la più completa mostra retrospettiva immaginata e vissuta fino ad allora da Spalletti. Ma – nel suo spargersi su più città, nel suo comparire sotto diversi cieli, nel suo propagarsi e rispecchiarsi in diversi paesaggi – ci avrebbe rivelato come le opere di Ettore fossero anch’esse una sola: un unico, lunghissimo, splendido giorno, seppure sempre mutevole, e quindi irripetibile, immerso nell’hic et nunc dei tanti diversi giorni delle sue opere, delle sue mostre, della sua vita.”
Andrea Viliani
Foto di Werner J. Hannappel
Courtesy Studio Ettore Spalletti
“Per Spalletti il tatto rivestiva, come è stato ricordato, una particolare importanza: tra i sensi, infatti, è quello che si sviluppa prima di tutti gli altri, prima della vista e prima dell’udito. L’abrasione dei suoi spessori di colori aveva la funzione di generare una polverosità che egli amava e che non disdegnava quando lasciava tracce di colore su chiunque sfiorasse le sue superfici. L’essenza tattile della sua pittura arrivava fino alla vista di ognuno. La sua pittura dev’essere percepita tattilmente con la mente e con gli occhi interiori.”
Bruno Corà
Foto di Werner J. Hannappel
Courtesy Studio Ettore Spalletti
“Nel loro nitore, a modo loro, le opere di Spalletti sono materiche. Come è noto, nei suoi impasti il pigmento è polverizzato, vive, di fatto, liberato dai leganti che in pittura si impiegano per stenderlo. In virtù di questa tecnica, le sue superfici respirano e il colore non si percepisce come uno strumento, come un mezzo, ma come una presenza. E la scelta del colore unico, del monocromo, sigilla l’impressione di essere al cospetto di un’entità.
Un’entità vivace. Il colore levita dalle tavole, si solleva nell’aria e si deposita sui pavimenti, dà spessore ai quadri, impregna gli alabastri, diventa una stanza… sopravanza, diventa tutto, è superficie, volume, abitazione.”
Daniela Lancioni