Pino Pascali
32 metri quadrati di mare circa, 1967
Il lavoro realizzato da Pino Pascali nel 1967, 32mq di mare circa – 30 bacinelle quadrate piene di acqua colorata con anilina in varie tonalità di blu –, appartiene alle collezioni della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, ed è esposto nell’ambito di Time is out of the joint, in stretto rapporto/dialogo con altre opere aderenti ad ambienti ed epoche diverse, tra cui il grande gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova tra il 1795-1815 Ercole e Lica e il monumentale Sfoglia d’oro su spine di acacia, 2002 di Giuseppe Penone.
Pino Pascali viene dal Sud – Polignano a Mare –, da una civiltà “mediterranea”, ha l’anima da migrante che trasferisce la propria soggettività in un altrove. Il mito e la natura sono legati alle tradizioni della sua terra, elementi che si ritrovano in quella solare mediterraneità del suo fare arte. Nei 32 mq di mare circa, l’artista non rappresenta la distesa azzurra, ma la porta direttamente all’interno dello spazio espositivo costringendola nei bassi argini di contenitori. L’acqua è per Pascali l’elemento primordiale dell’esistenza, del primario, è la volontà di spogliare le cose da ogni sovrastruttura, di sottrarle all’autorità della storia, per giungere a un primitivismo, a un pre-storico che ci fa ritrovare una natura intesa come una grande e inesauribile gioia. Qui la natura viene sezionata con lucida coscienza formale, qui Pascali ci propone la metafora di una natura artificiale, una reinvenzione di luoghi, relazioni e paesaggi.
L’artista ci porta a riflettere sul confine teorico tra natura e artificio. Il conflitto tra natura e artificio, che alla metà degli anni sessanta iniziava a turbare le coscienze collettive, perde qui la sua componente aspra e drammatica e finisce per diluirsi in una dimensione ironica e giocosa.
Giuseppe Penone
Sfoglia d’oro su spine di acacia, 2002
Dall’entrata del grande salone della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea si legge immediatamente, sulla parete di fondo, il disegno di una grande bocca dischiusa che trattiene tra le labbra una lamina d’oro. Avvicinandoci all’opera, ci accorgiamo che cambia immagine e si trasforma in una distesa di spine di acacia incollate su una superficie in seta di 36mq.
Il gigantesco lavoro Sfoglia d’oro su spine di acacia, realizzato da Giuseppe Penone, protagonista della corrente dell’Arte Povera, è stato pensato appositamente per la città di Roma ed è stato esposto, prima di entrare definitivamente nelle collezioni del Museo, allo Spazio per l’ Arte Contemporanea di Tor Bella Monaca il 17 marzo 2002.
È un’opera impostata sul contrasto tra materiali diversi come la seta, il metallo e le piante. La seta écru, usata come fondo, permette una chiara lettura del forte segno della spina, la distesa marrone degli aculei esalta la lamina d’oro, collocata al centro dell’opera, in cui l’artista ha inciso l’impronta del palmo della sua mano.
Dedicata al rapporto poetico tra l’uomo e la natura, tra esterno e interno, tra individuo e mondo, l’opera ci fa riflettere sulle tensioni della materia, non più solo mezzo artistico, ma come oggetto della riflessione stessa dell’artista.
Il rapporto tra natura e arte è, del resto, centrale non solo per Penone ma anche per tutti gli artisti che animarono il movimento dell’arte Povera.
Sfoglia d’oro su spine di acacia, ci mostra una natura sfrondata del superfluo e magistralmente sublimata nella sua essenza. Le forme organiche usate dal maestro sono l’ideale contrappunto al sentire la natura e poter palpitare all’unisono con il suo ritmo segreto, sono la sublimazione della sua forza spirituale che permea tutta la pratica dell’artista sin dagli esordi nel 1970.