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Reflections. Dino Gavina, l’arte e il design
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Reflections. Dino Gavina, l’arte e il design indaga l’emblematica figura di Dino Gavina, imprenditore illuminato e sovversivo – come lui amava definirsi – nell’Italia della seconda metà del ’900. La mostra a cura di Giovanna Coltelli con il progetto allestitivo di Marco Brunori, mette al centro la relazione tra arte e produzione industriale che, nel pensiero di Dino Gavina, possono e devono camminare insieme per cambiare il mondo.
“Il futuro è avventura. Sono le parole di Dino Gavina, perfette per spiegare le ragioni di una mostra al di là di tutte le necessità che intrecciano la storia dell’arte e quella del design dentro le sale di un museo e in particolare della Galleria Nazionale che continua a annodare e sciogliere i legami di un tempo lungo tre secoli. Le “riflessioni” a riguardo sono molteplici e non solo speculari.
La mostra prova a metterle in campo tutte per raccontarne alla fine una sola: come trasformare lo stupore e la curiosità non solo in intuizioni ma in oggetti concreti e persino riproducibili, industriali senza smettere di essere artigianali. È stato definito sovversivo, pioniere, sperimentatore, aggiungo temerario, come coloro che credono alla bellezza dei propri sogni, concreto e appassionato traduttore del fare a regola d’arte. Amava la dimensione ludica della vita, l’ingrediente segreto dei suoi progetti, e l’ironia, quella che ti strappa un sorriso e una riflessione. «Una cosa fatta di niente, la cosa più bella che ho fatto», inarrivabile definizione della sua prima invenzione, la Tripolina, una seduta semplice e ancestrale. Perché per riflettere bisogna smettere di correre e di agitarsi, bisogna stare fermi in una posizione comoda e godersi il paesaggio del futuro, immaginarsi il mondo come si vorrebbe che fosse e poi senza esitazione ma con tutti i dubbi, iniziare ad andargli incontro”.
Dal testo in catalogo di Cristiana Collu, Direttrice della Galleria Nazionale
Il percorso espositivo della mostra accosta oggetti di design vintage e contemporanei a capolavori realizzati da artisti e designer con cui Gavina ha saputo tessere relazioni umane e professionali. Tra le firme più note ci sono quelle di Lucio Fontana, Man Ray, Marcel Duchamp, Marcel Breuer, Carlo e Tobia Scarpa, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Kazuhide Takahama, Enzo Mari, Sebastian Matta, Alan Irvine, Novello Finotti, Giacomo Balla, André Masson, René Magritte, Jackson Pollock, Li Yuen Chia.
La mostra presenta anche una selezione di opere cinetiche delle collezioni della Galleria Nazionale, in cui figurano molti artisti che Gavina aveva esposto nel 1967 in una mostra itinerante nei suoi negozi, intitolata “La Luce” che, insieme alla più conosciuta “Lo spazio dell’immagine” di Foligno, è stata di grande importanza per l’arte contemporanea italiana. Molti di questi artisti fecero parte del memorabile Centro Duchamp, la factory che Gavina aveva fondato nel 1967 con sede nel suo stabilimento di San Lazzaro, dove artisti, ingegneri, letterati, scienziati, poeti, architetti, musicisti e tecnici ebbero la possibilità di sperimentare nuovi materiali e nuovi linguaggi espressivi, supportati dal suo mecenatismo. Testimoniano questa esperienza opere di Getullio Alviani, Alberto Biasi, Davide Boriani, Ennio Chiggio, Gianni Colombo, Hugo Demarco, Gabriele De Vecchi, Angel Duarte, Edoardo Landi, Julio Le Parc, Elio Marchegiani, Gino Marotta, Manfredo Massironi.
Particolare attenzione è dedicata alle artiste che hanno avuto con Gavina legami familiari, amicali e lavorativi, a partire da sua moglie, l’artista verbo-visuale Greta Schödl, alle artiste cinetiche del Centro Duchamp come Grazia Varisco, Marina Apollonio e Martha Boto, passando dall’amica Marina Abramović per finire con quelle coinvolte direttamente nella produzione degli oggetti d’arredo, come Meret Oppenheim, Marion Baruch e Mariyo Yagi.
L’allestimento, affidato all’architetto Marco Brunori designer dello Studio Gavina, presenta con efficacia nello spazio del museo il dialogo tra gli oggetti di design e le opere: tutto si ri-produce dentro superfici specchianti, in dialogo tra loro e lo spazio che le ospita, con un gioco di rimandi che invita anche il pubblico a “esporsi” e quindi a partecipare all’esperienza della riflessione.
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