intervista a Luisa Lambri
Luisa Lambri, Senza titolo (dettaglio), 1996
La stessa relazione spaziale tra distanza e sguardo può essere declinata nella prospettiva di uno spazio abitativo. L’architettura dello spazio domestico diventa allora una possibile misura del proprio spazio interiore. I lavori fotografici di Luisa Lambri (Como, 1969) hanno per soggetto d’elezione gli spazi architettonici interni, ma spesso la transizione tra interno ed esterno rimane volutamente ambigua e invita all’esplorazione visiva.
In A distanza ravvicinata è esposta una delle tue prime serie fotografiche, Senza titolo (1996), in cui lavori con l’architettura per fare l’immagine. Lo spazio che fotografi, pur in assenza di evidenti tracce umane accenna a una presenza, mettendo l’accento sulla dimensione percettiva ed emotiva dello spazio. Qual è la tua relazione fisica e mentale con gli spazi che fotografi?
Scelgo i luoghi che fotografo pensando alle immagini che mi permettono di creare, e le sequenze o i gruppi di immagini mostrano la mia esperienza dello spazio. La fotografia mi permette di abitarlo fisicamente e mentalmente.
L’obiettivo con cui scatti – hai dichiarato – ti richiede di occupare una precisa posizione rispetto al soggetto, non troppo vicina, non troppo lontana. Come impatta questa condizione sul modo in cui immagini e costruisci lo scatto?
Ho sempre pensato all’attrezzatura fotografica come a un’estensione di me stessa ed è sempre stata ridotta al minimo indispensabile perché non diventi una distrazione. Ho quasi sempre usato la stessa macchina fotografica di medio formato con lo stesso unico obiettivo, che è quello più comunemente usato per i ritratti. Non permette di avvicinarsi ma nemmeno di allontanarsi troppo dai soggetti che fotografo, e crea soprattutto uno spazio di relazione.
Nelle tue fotografie la luce o il buio erodono i dettagli fisici dall’immagine, per suggerire uno spazio altro, che può essere esperito al di là di quello che si vede. C’è una dimensione ideale che insegui attraverso tua ricerca fotografica?
Non ho mai pensato alla fotografia per documentare l’architettura, ma all’architettura come materiale per costruire le immagini. Le fotografie sono un riflesso di me stessa e della mia presenza nello spazio, e mi sono sempre sentita piuttosto libera di poterlo interpretare e trasformare in qualche modo a mia immagine e somiglianza anche con l’uso della tecnologia digitale, anche se in modo non esplicito.
Cinque artisti in mostra, Paolo Meoni (Prato, 1967), Luisa Lambri (Como, 1969), Daniela De Lorenzo (Firenze, 1959), Stefano Arienti (Mantova, 1961), Corrado Sassi (Roma, 1965) approfondiscono in brevi interviste alcuni temi centrali di A distanza ravvicinata: il rapporto con lo spazio, l’abitare, l’intimità, lo sguardo che rivolgiamo all’altro, nelle sue diverse forme.
Paolo Meoni, Unità residenziale di osservazione, 2009, 5’41”
Luisa Lambri, Senza titolo, 1996
Daniela De Lorenzo, Escamotage, 2010
Corrado Sassi, Natale di Roma, 2004
Stefano Arienti, Senza titolo (Ritratto di Federica Cimatti), 1996