- Il 27 aprile 2022 alle ore 3:50 pm
Intervista con Paco Cao
Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book
Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book (Processo ed Esecuzione di un Libro / Preghiera per un Libro Defunto) (2016) è una performance fotografica ideata, diretta e documentata dall’artista Paco Cao, che ha avuto luogo presso in modalità semi-privata nella biblioteca della Andrew Freedman Home nel Bronx, NY.
Come suggerisce il titolo, la performance è divisa in due parti e prevede il taglio di un libro (The Homosexual in America di Donald Webster Cory, 1951) con una motosega e la lettura di una preghiera per un libro in via di decomposizione, una versione inglese del Don Chisciotte della Mancia.
Il progetto si è sviluppato nel corso degli anni prima di approdare alla sua forma attuale, ed è stato inteso fin dall’inizio come aperto al cambiamento, alla replica e alla trasformazione. Attualmente, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma lo presenta sotto forma di installazione composta da tre fotografie di grande formato e un testo originale, ovvero la preghiera a cui fa riferimento il titolo.
Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book è una riflessione sulla ritualità e la teatralizzazione della violenza e della distruzione umana, ma attiva dei riferimenti anche al concetto di natura, e agli agenti naturali che provocano decadimento e distruzione.
Nell’intervista qui di seguito per la Galleria Nazionale, Paco Cao ci conduce attraverso una lettura complessa e sfaccettata dell’opera, legata alla sua più ampia pratica artistica e alle molte questioni profonde che questo lavoro intercetta.
Paco Cao, Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book, 2016-2019
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Foto di Adriano Mura
Intervista di Francesca Palmieri
Genesi
Francesca Palmieri: Puoi parlarci della genesi del progetto Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book?
Paco Cao: Il progetto è nato durante una residenza di sei mesi alla Andrew Freedman Home nel Bronx, NY (2016), legata a un progetto parallelo intitolato Harlem Hidden History (HHH) che si concentrava sull’Harlem Renaissance (n.d.r. movimento culturale afroamericano sviluppatosi all’inizio degli anni ’20 che ebbe il suo centro nevralgico nel quartiere newyorkese di Harlem) e sull’impatto che la cultura nera ha avuto e continua ad avere sia dentro che fuori gli Stati Uniti. Quel progetto è stato lanciato alla Harlem School of the Arts di New York (2014-2015), successivamente sviluppato alla National Portrait Gallery di Washington DC (2015) e al CCE di Santo Domingo, Repubblica Dominicana (2016).
La Andrew Freedman Home ha un programma di residenze per artisti che occupano studi “convenzionali” per così dire. Al contrario, io ho proposto che la biblioteca fosse il mio luogo di residenza e di azione. Il programma di attività che ho organizzato come parte di HHH durante il periodo in cui lavoravo nella biblioteca della Andrew Freedman Home aveva un carattere puramente didattico, con una forte inclinazione storica e si rivolgeva al pubblico abituale dell’istituzione, per lo più composto da persone di colore e con difficile accesso all’istruzione. Oggi la Andrew Freedman Home offre servizi alla comunità, formazione lavorativa e residenze per artisti. Questo contrasta con l’origine dell’istituzione, che fu fondata nel 1924 come casa di riposo per persone ricchi che avevano perso la propria fortuna.
In coincidenza con la mia residenza presso la biblioteca Andrew Freedman Home, sono stato invitato a partecipare alla Biennale d’arte latino-americana del Bronx del 2016. In risposta a questo invito, è nato Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book. Si tratta di un’azione semi-privata strutturata in due parti, che consiste nel tagliare un libro con una motosega e leggere una preghiera scritta per l’occasione. Con il passare del tempo, ho deciso di sviluppare il lavoro in modo da poter essere esposto a parete, con tre immagini fotografiche e un testo scritto risultante dall’azione. Questo invito mi ha portato anche a presentare al Bronx Museum – che si trova proprio di fronte alla Andrew Freedman Home – un altro lavoro che esplora il formato del libro, sebbene in una direzione diversa: ho presentato un libro che esiste solo in formato digitale attraverso il titolo e la copertina, mentre il suo interno è vuoto. Si tratta di Practical Guide to Politically Engaged and Profitable Art (Guida Pratica per un’Arte Politicamente Impegnata e Profittevole).
F.P.: Come è iniziata la tua ricerca nella biblioteca della Andrew Freedman Home? C’è stato un elemento particolare che ha dato inizio al progetto?
P.C.: Parallelamente alle mie attività didattiche, fin dall’inizio della residenza ho svolto ricerche sulla biblioteca. Ben presto però mi sono reso conto che molti libri erano gravemente danneggiati a causa dell’incuria e del lavorio incessante degli insetti della carta, che li stavano divorando da decenni. Alcuni libri mi cadevano a pezzi tra le mani (ho scattato alcune foto che mostrano il grado di deterioramento del patrimonio bibliografico), tanto che ho desistito dal fare un’indagine approfondita della collezione bibliografica per non contribuire ad ulteriori danni.
Paco Cao, Andrew Freadman Home Library, NYC, 2015
Va detto che la biblioteca di cui sto parlando sembra essere bloccata nel tempo. Essa infatti è inutilizzata, inaccessibile al pubblico e a qualsiasi fruitore. In un certo senso, potrebbe essere vista come un cimitero di libri. Data questa circostanza, ho sentito il bisogno di esplorare lo spazio in una direzione diversa dal programma didattico concepito per HHH. Ho cominciato a vedere il luogo come una scenografia decadente che invitava a celebrare dei rituali. In questo contesto, e seguendo l’invito della Bronx Latin American Art Biennial 2016, sono emersi il taglio del libro e la cerimonia della preghiera. Le due azioni hanno avuto luogo in due giorni diversi. È proprio nel testo scritto per la preghiera che si fa riferimento al lavoro degli insetti, mentre le fotografie che documentano il taglio hanno un soggetto leggermente differente, in quanto il libro tagliato non apparteneva alla biblioteca della Andrew Freedman Home, ma alla mia collezione ed era intatto, pur essendo una vecchia edizione (The Homosexual in America di Donald Webster Cory, 1951). Il libro usato per recitare della preghiera – una versione inglese del Don Chisciotte della Mancia – è invece uno dei volumi minacciati dall’opera distruttiva degli insetti. Anche se nel titolo del progetto viene menzionato un processo (trial), in realtà questo non viene celebrato, dunque si tratterebbe di un’esecuzione senza processo. Da parte sua, la preghiera indica la terra come luogo che accoglie il libro morto, ma anche questa cerimonia non ha luogo. Sono passati tre anni tra la ripresa delle immagini e la formalizzazione del 2019. Con il passare del tempo, mi sono reso conto che si tratta di un lavoro aperto, ancora in divenire, che mette in parallelo la distruzione causata dalla mano dell’uomo, con quella generata da altri agenti della natura come gli insetti.
Per chiudere il mio soggiorno alla Andrew Freedman Home e in relazione a una linea narrativa esplorata in HHH con il titolo The Cult of the Phoenix, ho tenuto un altro rituale in risposta all’invito dell’artista Pablo Helguera di creare un’esperienza “singolare” per sua moglie Dannielle Tegether, anche lei artista. Questa volta l’azione è iniziata nel mio appartamento nel Bronx, che si trova proprio di fronte alla Andrew Freedman Home, e da cui si può vedere il bellissimo giardino e una delle grandi finestre della biblioteca. Tuttavia, la parte essenziale del rituale creato per Dannielle ha avuto luogo nella biblioteca e consisteva in un rito di iniziazione legato al già citato Culto della Fenice che era stato parte di uno spettacolo tenuto alla Harlem School of the Arts l’anno precedente.
Performatività
Il tuo lavoro è profondamente caratterizzato da elementi performativi. In alcuni dei tuoi progetti, la performatività evoca rituali sociali di massa tipici della cultura occidentale contemporanea come i talent show o i concorsi di bellezza. In questo caso, però, la performance è centrata nel rituale della giustizia, e le azioni compiute sono lontane dal mondo ludico e giocoso dell’intrattenimento. Come si è evoluto l’uso della performance nel corso della sua carriera?
I miei lavori prendono forme molto diverse a seconda della natura di ciascuno di essi. Alcuni trattano temi leggeri, tipici dell’industria dello spettacolo, generalmente con un approccio ironico, mentre altri hanno un tono tutt’altro che festoso e, al contrario, sono seri, come nel caso di The Museum of the Victim (2006-in corso). Il film Dance Poison (2009) è un esempio in cui coesistono gioia e dolore. Il progetto esoterico Eternal Rest (2012) o lo Psychological Cocktail Services (2012-in corso) viaggiano anche attraverso territori legati al mondano o all’edonismo. Tuttavia, Harlem Hidden History (2014-in corso), che include diversi aspetti performativi, combina l’analisi storica con elementi fantastici e con il mondo dello spettacolo.
Museo de la Víctima-Tour de la Víctima Concejo de Oviedo, 2018
Commissionato da Ayuntamiento de Oviedo
Foto di Irma Collín
Paco Cao, Harlem Hidden History, 2015-in corso
Commissionato da Harlem School of The Arts, NYC
Paco Cao, El veneno del baile/Dance Poison, 2009
Commissionato da CGAC, Santiago de Compostela
Film-72 minuti
Paco Cao, Phycological Cocktail Services, 2014
Commissionato dal MoMA, NYC
Foto di Erica Gannett
Paco Cao, Servizio di Cockteleria Psicologica, 2012
Commissionato da Casa d’Arte Futurista Fortunato Depero, Rovereto
Foto in collaborazione con Elisa Vettori
Ho esplorato la performance o l’action art fin dalla metà degli anni ’80. Il mio primo lavoro di questo tipo, Polish Kingdom, risale al 1984 e in esso il corpo dell’artista è già presente come focus principale. In questo progetto la nudità, la violenza e i fluidi corporei sono presenti come parte di un rituale perverso in cui distruggo un gran numero di dipinti realizzati negli anni precedenti e sfido o invito il pubblico a urinare sul mio corpo, cosa che viene assecondata da due dei presenti. Nei primi anni ’90 ho realizzato una serie di performance raggruppate sotto il titolo generico di Cycle of Immersions che avevano un tono altrettanto crudo e scomposto, in cui la violenza era anch’essa presente, ma in modo simbolico, e la sofferenza così come la nudità avevano una ruolo centrale. Stiamo parlando di progetti che si svolgono in un giorno specifico e in ore specifiche e da cui non aveva origine alcuna opera materiale successiva.
Paco Cao, Ciclo de immersione, Golpe de estado en el infierno, 1991
Foto in collaborazione con Mario Cervero y Jorge Lorenzo
Nel corso degli anni, ho esplorato la performance in forme più fredde e a lungo termine, come nel caso di Rent-a-Body (1993-1999) – in cui il corpo è soggetto dell’azione – o nel progetto Border (1995-oggi) – in cui il corpo è trattato come oggetto – entrambi sviluppati e condotti in un lungo arco temporale. In Rent-a-Body affittavo me stesso, un’intera persona era in affitto, anche se la strategia pubblicitaria enfatizzava l’elemento del corpo per generare uno straniamento nello spettatore e potenziale cliente, così da guadagnare così la sua attenzione.
Diversamente, nel progetto Border il corpo dell’artista era presentato come un’opera d’arte che era stata depositata nel Museo de Bellas Artes de Asturias nel 1995 e nel caso fosse stato richiesto in prestito per una mostra, avrebbe dovuto essere gestito esattamente come un oggetto. In caso di transito internazionale, per esempio, non si sarebbe dovuto usare un passaporto. Devo ammettere che, guardando indietro, noto che entrambi i progetti avevano un tono di sfida, potenzialmente pericoloso, perché trasformare il corpo in un semplice oggetto estraneo alla sua condizione di persona ci pone alle porte dei principi ideologici che hanno alimentato la schiavitù. In tutti questi progetti, il mio corpo era un elemento centrale associato a varie strategie di interazione con il pubblico e/o le istituzioni.
Paco Cao, Rent-A-Body/Alquile un cuerpo, 1993-1999
In collaborazione con Creative Time, NYC
Paco Cao, Frontera/Border, 2000
Commissionato da Skoghall, Hammarö Kommun
Foto in collaborazione con Esther Shalev-Gerz
Tuttavia, dagli anni 2000, senza rinunciare agli aspetti performativi del mio lavoro, ho iniziato a concentrare il mio sguardo sull’altro per dimenticare il sé. Questo ha dato origine a diverse saghe di concorsi, come il Look-Alike Contest e la serie Museum Beauty Contest, che sono stati concepiti nel 2001, ma che, in alcuni casi, sono stati sviluppati successivamente. In essi, la mia presenza era irrilevante e l’Altro occupava il posto centrale. Nel corso del tempo, mi è capitato di utilizzare nuovamente la mia presenza fisica per offrire alcuni servizi, come la lettura delle carte o la creazione di cocktail. E questo ha avuto un costo elevato: rendermi ancora una volta ridicolo. Perché quando decido di leggere le carte, sto semplicemente replicando una formula molto diffusa, ma che, per me, non ha la minima credibilità. Più sono vicino al pensiero magico, più ho presente la regola della ragione. In modo tale che se io stesso metto in pratica qualcosa in cui non credo, mi sto realmente esponendo. E tutto questo perché il ritorno comunicativo – non economico – che ricevo da questi progetti è enorme.
Paco Cao, Eterno Riposo-Letture di carte, 2012
Commissionato da Casa D’Arte Futurista Fortunato Depero, Rovereto
Foto in collaborazione con Gian Luca Vassallo
Paco Cao-Look-Alike Contests Series-Do You Look Like JP?, 2002-2003
Commissionato da El Museo del Barrio, NYC
Foto: paternità dell’artista
Paco Cao, Museum Beauty Contest, 2016-2017
Commissionato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Foto: paternità dell’artista
Paco Cao, Museum Beauty Contest, 2016-2017
Commissionato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Foto: paternità dell’artista, Pablo Gómez Sala e Eduardo De Matteis
Paco Cao, Museum Beauty Contest, 2016-2017
Commissionato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Foto: paternità dell’artista, Futura Tittaferrante e Eduardo De Matteis
Una questione fondamentale nel mio lavoro è il desiderio pressante di stabilire un rapporto forte e inaspettato con il pubblico.
Trial an Execution of a Book/Prayer for a Dead Book, in un certo senso, apre una nuova direzione nella mia pratica artistica: la performance privata o semi-privata pensata per essere registrata dalla telecamera e finalizzata a generare un’opera accessibile in un momento successivo, installata per mezzo di immagini e testo, o in formato film. In effetti, si potrebbe dire che il gesto di tagliare un libro, da cui prende avvio sia il processo implicito citato nel titolo che la preghiera e la sepoltura, nasce in me come un impulso irrazionale, non preceduto da un’analisi specifica. Sono abituato a lavorare su progetti a lungo termine e capisco la natura di ciò che sto facendo man mano che il processo si sviluppa. In questa occasione presento un lavoro che lascia molte domande nell’aria.
Forse stavo cercando un’immagine potente che facesse appello al libro come campo di battaglia, dato che il progetto si svolge in una biblioteca con le caratteristiche descritte sopra. Forse mi sto invischiando nella cattiveria, nella violenza. Oppure potrebbe essere un modo per puntare il dito su un aspetto come la censura. Siamo immersi in una cultura della cancellazione. Ma potrei anche star partecipando alla desacralizzazione del libro come oggetto di culto.
Corpo
Come hai detto prima, il corpo è al centro di molti dei tuoi lavori performativi, sia esso il soggetto o l’oggetto del progetto. In questo lavoro specifico – o meglio attraverso la sua documentazione fotografica – gli spettatori possono avere un assaggio dell’esperienza fisica del boia, della persona che prega, e in qualche misura del libro che viene giustiziato, tutti riuniti da un rituale violento e molto carico di simboli.
Quali sono state le caratteristiche della presenza e dell’azione dei corpi all’interno di questa performance?
Il corpo è un luogo comune. Tutti noi facciamo uso del nostro corpo per lo sviluppo della nostra pratica professionale. La performatività è anche parte della vita quotidiana. Nel contesto della storia dell’arte, il corpo ha sempre avuto un posto privilegiato, espresso in molteplici modi. La posa, in un ritratto tradizionale, è ancora un elemento performativo. Nella scena artistica contemporanea, è comune che l’artista usi il proprio corpo come elemento centrale della sua pratica, ma è anche comune concentrarsi sugli altri e fare di quella presenza fisica un agente centrale del processo creativo. Nel caso di cui stiamo parlando, ci sono due persone – il boia e la persona che prega – che intervengono e offrono la loro presenza e attività fisica nello sviluppo della sessione rituale e fotografica. Io non ho preso parte alla performance, mi sono limitato a concepirla, a dirigerla, a scattare le fotografie e a scrivere la preghiera. Il taglio è compiuto da un caro amico artista, Arnaldo Morales, un residente del Bronx. La preghiera è pronunciata da Walter Puryear, direttore della Andrew Freedman Home. Ma entrambe le azioni si svolgono in giorni diversi e quindi i due “attori” non si sono trovati ad occupare simultaneamente lo stesso spazio.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è che ho richiesto la collaborazione di Arnaldo, non solo per la vicinanza e la complicità che ci unisce, ma piuttosto per la sua capacità di intraprendere con successo il lavoro affidatogli, visto che sa maneggiare la motosega. Lui stesso ha procurato l’abbigliamento e gli strumenti necessari per effettuare il taglio: la sega e gli indumenti protettivi. Questo tipo di sega è strettamente associato all’abbattimento degli alberi, motivo per cui l’ho trovata particolarmente utile in questa occasione. D’altra parte, questo strumento ha anche un significato molto specifico nel contesto del cinema horror ed è associato allo spettacolo gore, che si diverte proprio nella distruzione violenta dei corpi umani. Un’altra ragione per eleggerlo a elemento denso di significato.
Paco Cao, Prayer a Execution of a Book/Prayer for a dead book (dettaglio), 2015-2019-2021
Natura
La preghiera per il libro defunto recita: “Le radici dell’albero hanno ululato quando hanno perso il loro tronco che, sacrificato per farne una pasta, si è trasformato in carta che ha ricevuto con gioia la traccia umida del pigmento”. In un certo senso, questo progetto investiga anche nell’ambito della Natura, che oggi è sempre più esaminata attraverso una lente intersezionale, dove la giustizia climatica, di genere, razziale, sociale, politica ed economica sono tutte profondamente interconnesse.
Come si relaziona la natura con le altre tematiche toccate da questo lavoro? È la prima volta che ti avvicina a questo tema?
Il testo che citi fa parte della preghiera e menziona l’albero come fonte necessaria per fare la carta. Sia per il taglio del libro che per la lettura della preghiera, ho fatto uso di due pezzi di tronco d’albero provenienti dal giardino della Andrew Freedman Home. Si tratta quindi di un modo molto sottile di parlare dell’ambiente naturale. La natura non è stato un campo che ho esplorato molto fin ora. Tuttavia, in relazione a Trial and Execution of a Book/Prayer for a Dead Book, è stata presentata fin dall’inizio come una questione ineludibile, qualcosa che entra nel discorso in modo obbligatorio. In primo luogo, perché il libro dipende dalla carta e la carta dipende dall’albero. Secondo alcune fonti, nel mondo su cinque abbattuti nel mondo, uno è usato per fare la carta. D’altra parte, anche il processo di deterioramento del libro divorato dagli insetti fa appello ai cicli naturali, a una forma di distruzione non-umana. In questo caso, la natura è una parte importante, ma non il centro della narrazione. Il centro della narrazione è la teatralizzazione della distruzione e della violenza. E a questo si aggiunge un aspetto solenne che fa appello all’idea di Madre Terra, tipica del pensiero animista, nel quale non mi identifico necessariamente, ma che è molto utile in termini letterari.
C’è però un progetto, concepito nel 2007 e al quale sto lavorando attualmente con la Galleria Nazionale, che ha un rapporto stretto con la natura come utile veicolo di riflessione su temi caldo del nostro tempo.
Si tratta del progetto Innesti, un esercizio botanico storicamente connesso ai processi migratori e all’impatto dell’azione umana sulla natura. Un giardino botanico sarà il luogo dove realizzaerò questo esperimento. In primo luogo, sceglierò una o più specie di piante che identificano il territorio che ospiterà il progetto e che sono adatte alla pratica dell’innesto. Poi sceglierò specie vegetali che identificano i luoghi d’origine di comunità migranti stabilitesi nel territorio dove si trova il giardino botanico. Infine, le specie straniere saranno innestate sulle specie locali per avviare il processo botanico, in modo che, nel tempo, si osserverà come alcuni degli innesti possono prosperare e altri fallire. Rigetto e assimilazione sono infatti due concetti fondamentali nella formulazione di questo esercizio botanico. Questo è il nucleo centrale del progetto, tuttavia, a partire da questo Innesti si evolverà inevitabilmente in altre direzioni, a seconda del processo di lavoro e dei risultati che man mano verranno alla luce.
Narrazione
Il tuo lavoro è stato descritto come un tentativo di collegare “tradizioni intellettuali che non sono spesso in dialogo tra loro, come la performance art e il concettuale, il pensiero postmoderno e le sue critiche sociali, la teoria queer, il rito, l’ermetismo e il vasto panorama dell’arte, della letteratura e della filosofia occidentale”. Per farlo, è centrale la costruzione di una narrazione, che spesso gioca con la possibilità di muoversi liberamente tra realtà e finzione. Come hai approcciato lo stotytelling in Trial and Execution of a Book/Pray for a Dead Boook?
La frase che hai citato è di Pablo Helguera, un artista ed educatore con cui ho una grande complicità. Se lui vede nel mio lavoro quello che lei ha citato, non sarò io a rinnegarlo, anche se potrei qualificare ampiamente il suo punto di vista. Ma questo non è il luogo per farlo.
Venendo alla tua domanda, a differenza di altre mie opere costruite a partire da una storia definita o da una sceneggiatura con uno sviluppo a lungo termine, in Trial and Execution of a Book/Pray for a Dead Boook ho operato come produttore, regista e fotografo. Più che come narratore, ho proceduto creando una breve azione poi riassunta in tre immagini e un testo. In modo tale che la mescolanza di finzione e realtà, così presente in altre opere, non apparisse in questo caso e non svolgesse alcuna funzione.
Va detto però che due delle immagini dell’opera (taglio del libro e primo piano dello stesso taglio) sono state presentate – attribuite ad altro autore – nella mostra Paco Cao: Attribution, tenutasi nel 2019 al Leslie-Lohman Museum of Art di New York; una mostra in cui finzione e realtà erano fortemente intrecciate. Ho usato opere della collezione del museo e opere di nuova creazione che erano copie, falsi o opere apocrife. In questa occasione ho potuto applicare lo stesso principio presente nell’opera Fèlix Bermeu. A hidden Life (2004), una biografia fittizia di un personaggio contemporaneo della Generazione del 1927, o nel film Dance Poison (2009), dove fatti storici e finzione coesistono anche come strategia narrativa, cosa che pone una sfida interpretativa allo spettatore.
Paco Cao, Attribution, 2019
Leslie-Lohman Museum of Art, NYC
Foto di Kristine Eudey
Paco Cao, Fèlix Bermeu. Vida soterrada, 2004
Commissionato da Hangar-Ajuntament de Terrassa, 2004
332 pagine
Paco Cao, El veneno del baile/Dance Poison, 2009
Commissionato da CGAC, Santiago de Compostela
(Film-72 minutes)
Trial and Execution of a Book/Pray for a Dead Boook sembra raccogliere in sé diverse tematiche, narrazioni, tecniche artistiche e possibili letture, che si stratificano e non sono mai fissate in un’interpretazione univoca. Puoi raccontarci di più sul tuo bisogno di confrontarti con questa complessità, e qual è in generale il tuo rapporto con la complessità?
Trial and Execution of a Book/Prayer for a Dead Boook, è un lavoro ambiguo e aperto. Richiama la violenza, ma anche il mito e il feticismo. È noto che un libro non sia un oggetto qualsiasi. È un bene prezioso che contribuisce alla diffusione dell’“informazione”, della “conoscenza” e dell’“ideologia” – prima della rivoluzione portata da Internet, l’apparizione della stampa è stato un contributo tecnologico dall’impatto altrettanto straordinario ed è tuttora vivo – e, di conseguenza, nel corso della storia il libro è stato vittima della censura, senza eccezioni nel presente.
Dunque, una prima lettura dell’opera potrebbe richiamare proprio la repressione ideologica e quindi porterebbe implicitamente una componente di denuncia, protesta o attivismo politico. Ma la mia intenzione non è mai stata questa, almeno non coscientemente. Ancora oggi sto cercando di decifrare la ragione di questo gesto. Perché non opero con un apparato critico che giustifichi o “abbellisca” le mie opere da un punto di vista teorico. Anche se dietro i miei progetti c’è una profonda riflessione e ore di studio. Trattandosi di un nuovo tipo di esplorazione, sono consapevole di essere ancora alla ricerca di senso e mi rendo conto che il lavoro va esplorato in altri contesti, per replicarlo, ma anche per riformularlo.
Forse questo lavoro ha più a che fare con la spettacolarizzazione della distruzione e della violenza che con una battaglia ideologica aperta o con l’attivismo attraverso l’arte. Un libro non è una persona e, pertanto, non può essere giudicato, né giustiziato, quindi ci muoviamo irrimediabilmente nel campo della metafora. Tuttavia, molti autori sono stati perseguitati a causa della loro attività letteraria e molte opere letterarie sono state distrutte nel corso della storia come forma di repressione. Questo ci fa notare che il libro in generale ha acquisito un’aura sacra (a parte quei libri che per certe comunità sono letteralmente testi sacri), e di conseguenza attentare all’integrità del libro vorrebbe dire commettere un “attentato contro l’umanità”, che ne è un’estensione o una proiezione.
Non sarei però onesto con me stesso se elaborassi un discorso di “rivendicazione politica” intorno all’opera, anche se in teoria avrebbe tutte le caratteristiche per poterlo fare. Devo essere sincero e ammettere che devo ancora scoprire il significato di quest’opera perché, dopo tutto, tagliare un libro significa impedire la sua lettura, disattivarlo. Sarebbe facile allinearmi a un discorso molto comune al giorno d’oggi che conquista il favore di una gran parte del pubblico e dei diversi agenti coinvolti nel mondo dell’arte. Potrei sostenere che l’opera denuncia il sistema normativo etero-patriarcale dominante – dato che il libro di taglio si intitola The Homosexual in America – ma non lo farò. Potrei avvolgermi nell’ideologia gender e nelle rivendicazioni della comunità LGTBQI+, alla quale, volente o nolente, appartengo, ma sarebbe anche questa una forzatura perché anche all’interno di quella comunità ci sono gravi disaccordi e, di conseguenza, un’enorme confusione.
Non pretendo di muovermi in una neutralità ideologica. Non è possibile. Semplicemente non mi lascio trascinare da discorsi dotti, ripetuti in modo meccanico e abbracciati, in molti casi, per la redditività immediata che portano. Forse sono sprofondato in un nichilismo pericoloso e autodistruttivo, forse sono stufo di tanto opportunismo e tanta impostura in un mondo che sembra vivere permanentemente indignato. La dissidenza è di moda. L’attivismo è diventato un business espresso in diverse professioni, compreso il mondo dell’arte. Alcune di queste battaglie sono condotte da giovani generazioni concentrate su temi spesso lontani dai miei interessi o dalla mia visione del mondo. Tutto è monetizzato e io sto diventando vecchio. Forse la forza del lavoro – se ne ha – sta proprio nella sua ambiguità, nel suo carattere aperto.
Evoluzione
Quali saranno i prossimi sviluppi di Trial and Execution of a Book / Prayer for a Dead Book?
Come ho detto sopra, l’opera lascia molte porte aperte per ulteriori ricerche che potrebbero essere condotte in contesti diversi dalla Andrew Freedman Home, per esplorare e forse risolvere le questioni in sospeso.
Attraverso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è stato avviato un dialogo con diverse istituzioni italiane per replicare il progetto in altri luoghi legati al patrimonio culturale, siano essi biblioteche, musei o altri spazi simili. In questo modo, ho potuto approfondire lo stesso processo giudiziario al libro – che nel lavoro di cui stiamo parlando è presente solo nel titolo – così come la sepoltura, menzionata nella preghiera ma non presentata nelle immagini.
Avendo la prima versione finita ed esposta a parete, mi rendo conto che il lavoro dovrebbe essere riformulato come una serie, in modo che il rito si adatti di volta in volta al nuovo spazio in cui viene celebrato, e in modo che anche il libro scelto per l’esecuzione abbia un valore specifico nel contesto di appartenenza.
Si tratta di un lavoro in cui compaiono tutti gli elementi di una storia non del tutto conclusa; un work in progress la cui prima fase è visibile nel lavoro del 2019 esposto alla Galleria Nazionale di Roma, ma che è aperto a evolversi e a cercare nuove modalità di formalizzazione.
Questo, come è successo per altri progetti, mi permetterà di trovare il significato che ancora oggi non riesco a decifrare.