- Il 1 giugno 2020 alle ore 2:39 pm
Nella primavera 1968 Palma Bucarelli inaugurava il nuovo ordinamento delle collezioni di pittura e scultura contemporanee della Galleria Nazionale, a quasi vent’anni dal primo compiuto nel dopoguerra. La riapertura del museo fu accompagnata da una chiassosa protesta di centinaia di studenti della vicina Facoltà di Architettura e dell’Accademia di Belle Arti e fu interrotta da un clamoroso gesto di protesta dei pittori Dorazio e Boille che staccarono i loro dipinti dalle pareti del museo e tentarono di portarli all’esterno.
Certamente Palma Bucarelli non poteva immaginare quello che sarebbe successo quel giorno quando nel 1967, appena un anno prima, aveva pensato a un intervento spettacolare per quella occasione: chiedere all’artista bulgaro Christo di progettare l’impacchettamento della facciata del museo. Se realizzato, quello sarebbe stato non solo il primo museo impacchettato dal giovane artista, ma in assoluto il suo primo edificio.
Nato a Gabrovo in Bulgaria nel 1935 e fuggito a Vienna dopo la rivolta d’Ungheria del 1956, Christo Vladimirov Javacheff era approdato a Parigi nella primavera 1958.
Qui l’impacchettamento diventa rapidamente il suo gesto artistico autonomo e quasi esclusivo. Lattine, bottiglie e barattoli di vernice vuoti prima, per passare poi a sedie, tavoli, vecchi barili di petrolio, una motocicletta e un’auto, imballati in materiali plastici semitrasparenti o tessuti trattenuti da nodi e corde. Nel 1962 Christo si trasferisce a New York, chiamato dal gallerista Leo Castelli. Qui i suoi progetti d’impacchettamenti diventano presto più impegnativi, ambiziosi e visionari: immagina d’imballare alcuni grattaceli a Lower Manhattan e realizza gli Air Packages, monumentali imballaggi in polietilene trasparente, gonfi d’aria e dal diametro di quasi sei metri.
Nel 1968 appaiono i primi documenti del progetto di impacchettamento della Galleria Nazionale: quell’anno per sostenere la partecipazione di Christo a documenta 4, la Galerie Der Spiegel di Colonia edita cento copie di un portfolio dell’artista contenente un modello in scala del pacco d’aria ideato per Kassel e dieci stampe fotografiche relative a progetti ancora irrealizzati, come gli impacchettamenti dei grattacieli di Manhattan, dell’École militaire e dell’Arc de Triomphe di Parigi. Ed è proprio tra questi che figura anche quello per la facciata della Galleria Nazionale di Roma, forse chiesto all’artista da Palma Bucarelli nel 1967.
Questo progetto poco conosciuto ha però una genesi ancora non chiara.
In un’intervista, Christo – che desiderava impacchettare un grande edificio pubblico fin dal 1961 – ha dichiarato che «già all’inizio del 1964, mi ero reso conto che la sola possibilità di impacchettare un edificio sarebbe stata quella di rivolgersi a un museo. Ragione per cui nel 1967 proposi di impachettare la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma». In un incontro pubblico del 2012 però, l’artista ha affermato che fu invece Palma Bucarelli a chiedergli un grosso intervento per la facciata del museo.
I due comunque, si conoscevano forse già dall’autunno 1963, quando Christo, reduce da un tour espositivo a Milano e Venezia, si era trasferito a Roma per realizzare nuove opere. Qui realizzò il suo primo empaquetage pubblico in Italia: benché non autorizzato, avvolse con cellophane trasparente una statua del parco di Villa Borghese compiendo così Wrapped Venus. Scambiata per un intervento a carattere conservativo, l’azione di Christo sopravvisse per ben quattro mesi.
Wrapped Venus a Villa Borghese, 1963
Forse proprio durante questa permanenza dell’artista a Roma, maturò anche l’idea di realizzare nell’atrio colonnato della Galleria Nazionale, un’enorme scultura di vecchi barili metallici per petrolio, accatastati a formare un’altissima piramide tronca. Di questo progetto esistono alcuni disegni realizzati sempre nel 1967, quando Christo già studiava il modo per impacchettare la facciata del museo romano.
All’inizio del 1968 infatti, questo intervento sembrava davvero doversi concretizzare.
Oltre a vari disegni, collage e alcuni fotomontaggi utili alla definizione del progetto, Christo aveva realizzato anche un modello tridimensionale in scala del museo impacchettato. Inoltre, sempre allo scopo di raccogliere la somma necessaria per attuare l’intervento, tutti questi lavori vennero esposti e messi in vendita quell’anno alla John Gibson Gallery di New York.
Il modello tridimensionale e alcuni fotomontaggi furono acquistati subito da John e Dominique de Menil per la loro collezione di Houston in Texas, contribuendo così a finanziare in modo decisivo l’impacchettamento del museo romano, mentre un imprevisto accorso nel frattempo ad un altro progetto italiano, mise a disposizione dell’artista anche il materiale plastico necessario per imballare la facciata.
Infatti, sempre al principio del 1968, Christo avrebbe dovuto impacchettare il Teatro Nuovo di Spoleto, in occasione dell’undicesima edizione del Festival dei Due Mondi. Il progetto era però naufragato a causa dell’infiammabilità dei teloni forniti per il suo imballaggio. Un articolo del tempo informava che «la massima parte del materiale destinato all’impacchettamento è rimasto inutilizzato nei magazzini comunali e che lì resterà in custodia fino a settembre, quando Christo lo farà trasportare a Roma per impacchettare la Galleria d’Arte Moderna», poiché, ricorderà l’artista molti anni dopo, allora «c’era la possibilità di poter attuare il progetto contemporaneamente a una mia mostra».
Tuttavia, né l’idea, né la mostra diventarono realtà e anche se il critico americano David Bourdon affermerà al riguardo, che «this project collapsed when the museum staff proved incapable of handling administrative responsibilities», i motivi reali della rinuncia all’attuazione di questo progetto sono ancora ignoti.
Palma Bucarelli e il museo non potevano allora immaginare quanto sarebbe accaduto sempre quell’anno a un progetto identico in Svizzera. A Berna infatti, Harald Szeemann che aveva chiesto a Christo d’impacchettare la Kunstahalle, sarà costretto a pagare alcuni guardiani per vigilare sull’edificio allo scopo d’evitare incendi o vandalismi, poiché «le compagnie di assicurazione si rifiutarono di assicurare la Kunsthalle e ciò che di valore conteneva durante tutto il periodo in cui sarebbe stata impachettata». Inoltre, come ricorderà un testimone dell’epoca, l’enorme telo che avvolgeva l’edificio fu rimosso dopo appena una settimana, poiché «i visitatori che entravano attraverso un’apertura nella plastica, quasi svenivano a causa del calore e dell’aria stagnante che c’era all’interno della Kunstahalle».
Se a questo punto anche per Palma Bucarelli forse non era più opportuno sostenere quel progetto, Christo sembrava invece ostinato a non voler rinunciare ancora del tutto all’idea d’impacchettare il museo romano. Negli anni seguenti infatti, forse proprio allo scopo di continuare a mantenere vivo l’interesse sul progetto, l’artista invierà personalmente a Palma Bucarelli fotografie, cartoline, molti inviti di mostre e una scatola contenente trentasei riproduzioni dell’impacchettaggio del Museum of Contemporary Art di Chicago, compiuto nel 1969.
Christo, Ponte Sant’Angelo wrapped, 1969
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Palma Bucarelli e Christo, Roma 1974
Infine, alcuni anni dopo e forse in occasione di Wrapped Roman Wall, lo spettacolare intervento d’impacchettamento di un tratto delle mura aureliane a Porta Pinciana nel gennaio 1974, Christo regalerà a Palma Bucarelli anche un suo lavoro, ancora oggi l’unico dell’artista presente nelle collezioni del museo.