Notturno con figura – la docuserie

  • Pubblicato da xister Reply Il 24 marzo 2020 alle ore 12:59 pm

Terzo e ultimo appuntamento di Connection Gallery con la mostra Notturno con figura. Primo corollario sulla vibrazione a cura di Lucrezia Longobardi. La rassegna, curata da Massimo Mininni e avviata a giugno 2019 con il lavoro di Andrea Mastrovito e successivamente con quello del duo Invernomuto, si conclude con l’installazione site-specific degli artisti Carlo e Fabio Ingrassia e Eugenio Tibaldi.

 

La docuserie della mostra in quattro episodi filmata da Lorenzo Quagliozzi.

 

 

L’indagine proposta in questa mostra parte da un dato scientifico, pubblicato nel 1989 sulla rivista 21st Century Science & Technology. Nel testo si affermava come l’essere umano vibri a circa 570 trilioni di volte al secondo, 42 ottave sopra il DO centrale di un pianoforte; una grandezza che sembra non poter essere contenuta nelle pareti dell’immaginazione, eppure, dà la cifra di come gli uomini siano eminentemente esseri emozionali, capaci di plasmare la realtà attraverso le vibrazioni che emanano. Le loro armonie o disarmonie, prodotte da disaccordi interiori o sociali, possono generare reazioni da cui dipende l’adattabilità o la crisi dell’uomo col proprio ambiente, inteso come spazio vitale e relazionale.

 

 

Notturno con figura costituisce un primo corollario sul tema della vibrazione esistenziale che si aggiunge alla ricerca iniziata da Lucrezia Longobardi nel 2017 sul concetto di Spazio Esistenziale. Tale percorso, sviluppatosi attraverso mostre e saggi critico-filosofici intitolati Definizioni e seguiti da numeri consecutivi, è diventato la forma principale della ricerca della curatrice che qui dà l’avvio a una serie di riflessioni complementari. Come nelle parti precedenti, le due opere degli artisti coinvolti si fondono in un unico dispositivo esperienziale.

 

 

In Notturno con figura prende corpo un paesaggio esistenziale fondato su uno stato di precarietà e disillusione, figlio delle atrofie emotive che hanno caratterizzato l’inizio del XXI secolo. L’impianto di questo progetto si concentra sull’anatomia (o autopsia) di una circostanza dell’essere – e, dunque, dell’abitare – isolata e surreale, all’estremo del possibile, selvaggia e severa che permette all’individuo di allontanarsi dall’inquietante norma della società per potersi aggrappare all’improbabile possibilità di un’alienazione cosciente.

 

 

Il ricordo intimo proposto da Carlo e Fabio Ingrassia sembra esistere solo in ragione della vibrazione della luce e del colore impressi nell’immagine, quasi che il soggetto ritratto non abbia corpo e sostanza di per sé. Questa precarietà si specchia e sviluppa nella tremante installazione di Eugenio Tibaldi. Il rapporto fra le opere innesca una dialettica tra paesaggio interiore e spazio reale, in cui il notturno perimetro di una dimora spettrale, forse impossibile, persa nella memoria o nell’immaginazione, esplode nella struttura installativa che (con)fonde forme naturali e antropo-funzionali in un ambiente in equilibrio tra un paesaggio neuronale e un habitat neo-primitivo simile a quelli in cui una larga parte di esclusi (volontari o meno) dalla società vive ai margini delle grandi metropoli, dalle baraccopoli dei migranti nel nord della Francia alle sistemazioni di fortuna lungo le sponde del Tevere. Questa forma di esistenza sporca e disagiata s’impone però eclatante nella verità del suo naturale annodamento con la vita. Ciò che emerge da questo tremante dispositivo a mezz’aria è l’essenza dell’essere che avanza nei meandri delle necessità primarie, tentando di ridurre all’osso il circolo della vita che qui diviene ossessivo e chiuso su se stesso.