- Il 5 novembre 2019 alle ore 8:00 pm
Giulio Paolini (Genova, 1940), capofila italiano dell’arte concettuale, non ha bisogno di presentazioni. E non lo diciamo solo perché oggi, martedì 5 novembre, compie 79 anni e può vantarne quasi 60 di proficua attività, ma soprattutto perché la sua ricerca artistica non si esaurisce con il tempo ma continua a guardare avanti, con slancio, senza convergere al passato con velata malinconia. Lo dimostra la sua installazione site-specific Qui e oltre (da zero a nove), che, alla chiusura di Joint is Out of Time, entra nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea grazie alla donazione dell’artista.
Giulio Paolini, Qui e oltre (da zero a nove), 2019
Per Joint is Out of Time Paolini ha deciso di coniugare l’installazione ad hoc con una sua opera già esposta al museo nel 1988: Ennesima, 1975 – 1988. I due lavori testimoniano diverse fasi di un lungo e complesso percorso, articolato nelle innumerevoli personali e collettive con cui Paolini ha esplorato le tecniche più differenti e con cui la sua costante interrogazione sulla natura dell’opera d’arte si è progressivamente trasformata nella contemplazione di una verità Out of Time: l’“antecedenza” dell’arte alla volontà dell’artista.
Per Joint is Out of Time, Giulio Paolini ha deciso di coniugare l'opera "Ennesima", già esposta nel 1988, con l'installazione site-specific "Qui e oltre (da zero a nove)", che è entrata nelle collezioni della Galleria Nazionale grazie alla donazione dell’artista.
Pubblicato da La Galleria Nazionale su Lunedì 11 novembre 2019
Video di Lorenzo Quagliozzi e Anton Giulio Onofri
La fede nella derivazione metafisica dell’atto creativo è il presupposto principale della riflessione condotta da Paolini sul reale ruolo dell’artista e sulla sua significativa messa in discussione da parte di un’opera che acquista sempre più autonomia. La cifra principale delle immagini è l’essenzialità, la spiccata vocazione alla sospensione e alla leggerezza convogliata dal linguaggio frammentario, geometrico e caleidoscopico delle prospettive, degli sdoppiamenti e degli specchi.
Giulio Paolini, Ennesima, 1975 – 1988
La donazione di Qui e oltre (da zero a nove), concepita espressamente per lo spazio di accesso al Salone Centrale sul lato Ovest, testimonia il rapporto di fiducia tra l’artista e la Galleria Nazionale, rapporto che si è creato e saldato con gli anni. Ripercorriamo le tappe più significative à rebours.
2019 – Joint is Out of Time
Qui e oltre
Qui indica il luogo dove effettivamente ci troviamo. Oltre evoca invece qualcosa posto a una distanza infinita dal nostro punto di vista.
Detto questo, se volessimo osservare e misurare quest’opera ci renderemmo conto che gli elementi sospesi in alto corrispondono alle dimensioni dei moduli disegnati in basso, cioè del pavimento visto in prospettiva. Potremmo così constatare che è la stessa forma geometrica trapezoidale a comporre l’immagine complessiva dell’opera, sia nella parte inferiore, a terra, che in quella superiore, sospesa.
Più in generale pesi e misure, inizio e fine, antico e nuovo si rincorrono a svolgere la simmetria di punti equidistanti o coincidenti. Un’opera, del resto, è uguale o comunque corrispondente a quella che la segue o precede.
Era il 1988 quando, trent’anni fa, tenevo una mia esposizione personale proprio qui, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Che cosa distinguerà questa mia opera “nuova” da quelle esposte a suo tempo (tra le altre Ennesima) che rivediamo in questa occasione?
Da un’opera all’altra, titoli, date, misure e tecniche di realizzazione sono sempre diverse ma la cifra che le sottende resta comunque immutata a rinnovare (ripetere?) ogni volta la sua segreta identità. Che è anche la sua presunta eternità, la ragione nascosta e inafferrabile che la anima.
Gli artisti passano, l’arte no, resta la stessa. Sotto la superficie dell’opera, sotto lo strato della pittura o della materia sopravvive l’attesa di un compimento. Qui o altrove, ovunque avvistiamo un’incognita, una cifra che si disvela ogni volta diversa ma che in verità è sempre la stessa.
Giulio Paolini dal catalogo di Joint is Out of Time, edito da Silvana Editoriale.
Giulio Paolini, Qui e oltre (da zero a nove), 2019
Scrittura, immagine, tempo
Giulio Paolini presenta un’opera concepita espressamente per lo spazio di accesso al grande salone della Galleria sul lato Ovest, caratterizzato dalle sue pareti curve. L’installazione Qui e oltre (da zero a nove) (2018-2019) unisce massima economia dei mezzi impiegati a una totale adesione alle caratteristiche ambientali: tracciati prospettici a matita su parete, disegni lineari su sagome trapezoidali in PVC di diverse dimensioni e sospese al soffitto caricano di senso un luogo originariamente considerato di semplice passaggio, attivando nell’osservatore la consapevolezza del transito verso il grande salone così solenne nelle sua natura di spazio deputato all’arte, denso di memoria. Nove sagome bianche si muovono leggere sopra la testa del visitatore, secondo il naturale spostamento d’aria, richiamando in modo rigoroso, quanto discreto, gli elementi costitutivi della prospettiva disegnata sulla parte inferiore della parete, in una geometrica corrispondenza tra terra e cielo. La relazione alto/basso, dentro/fuori, qui/oltre pervade l’opera creando un gioco di molteplici punti di vista ed esaltando la consapevolezza del rapporto autore/spettatore/spazio architettonico. Con quest’opera Paolini conferma e ribadisce la sua adesione incondizionata a temi fondanti della sua ricerca come la concezione dell’opera in relazione all’atto espositivo, nonché il suo manifestarsi come evocazione delle sue stesse possibilità.
Per Joint is Out of Time, Paolini ha deciso di coniugare la presentazione di un’installazione realizzata ad hoc, Qui e oltre (da zero a nove) (2018-2019), con il riallestimento di Ennesima (1975-1988), un lavoro esposto nel 1988 nella personale che l’artista tenne nel salone centrale della Galleria Nazionale. Entrambe le opere, realizzate a oltre trent’anni di distanza, si caratterizzano per la comune reiterazione, tipicamente concettuale, di elementi modulari semplici ed essenziali nella loro materialità (carta e suoi derivati, matita e inchiostro). Ennesima si compone di ventotto elementi ordinati in successione orizzontale, a brevi intervalli; essi presentano una progressiva suddivisione reticolare della superficie del foglio, che infittendosi prende gradualmente il sopravvento sulla calligrafia automatica – un’ipotetica descrizione dell’opera medesima – fino a sostituirsi del tutto all’immagine scritturale e giungere, negli ultimi dodici fogli, a una superficie completamente nera.
Nelle parole dell’artista: «Tre elementi, dunque: la scrittura, l’immagine, il tempo. La scrittura, dimentica di qualsiasi comunicazione, non conserva che la sua apparenza, non descrive altro che se stessa. Il disegno è il limite estremo della propria legittimità, la definizione della superficie della pagina. Il tempo suggerisce la trama e detta, attraverso la successione dei due elementi che lo rivelano, la misura enigmatica del racconto: sottrae ulteriore veridicità sia alla scrittura che al disegno, regola la loro compenetrazione in un’identità continuamente variabile, moltiplicabile all’infinito, ma immutabile per destino. La prima pagina è già l’ultima, l’ultima è ancora la prima, la sequenza muove da un uguale verso un uguale. Ecco quindi la neutralità di una dinamica che, sempre attraverso l’uso degli stessi elementi, non approda ad altro che non sia il suo proprio sviluppo infinitesimale. Il titolo Ennesima, appunto, vorrebbe richiamare la possibilità di elevazione ad infinito di questo processo (…)».
Bettina Della Casa dal catalogo di Joint is Out of Time, edito da Silvana Editoriale.
Scala, Colonne, Galleria
Cosa prova oggi l’artista Paolini e cosa prova l’uomo Giulio quando sale la scalinata bianca dell’ingresso principale della Galleria?
Salire una scalinata è, prima ancora che un modo di procedere, un atto volontario. Devo ammettere che né l’uno né l’altro mi trovano ben disposto: restare fermo, immobile, deciso a protrarre un’attesa che vorrei definire “metafisica” è quanto oggi mi attrae. Né l’artista, né l’uomo (se c’è), entrambi figure in posa per un ritratto senza luogo né data, dirigono lo sguardo su l’uno o l’altro oggetto, intenti come sono a misurare la distanza da qualcosa di indefinito, impercettibile o troppo lontano… Mettere a fuoco il vuoto significherebbe calcolare il punto di fuga di una prospettiva impraticabile cioè fondata su un piano virtuale o inesistente. Di quella scalinata ogni gradino certifica l’immobilità sua propria e dell’architettura alla quale appartiene. Il prima e il dopo, passato e futuro della Storia, coincidono nello stesso punto.
Sappiamo che ha progettato impeccabilmente e seguito personalmente l’allestimento della sua grande mostra del 1988, ma come ha vissuto emotivamente il confronto con il salone centrale della Galleria?
L’architettura della Galleria Nazionale, concepita come un edificio introdotto da un salone centrale, è l’esempio perfetto e tutt’ora insuperato atto ad ospitare l’essenza stessa di qualcosa – l’Arte – che possa manifestarsi senza però dichiararsi. Centralità e simmetria ci invitano ad amplificare lo sguardo. L’assenza di un itinerario obbligato, di un percorso dettato dall’assieme delle sale evoca la vertigine di un labirinto, di uno spazio aperto.
Una cosa è mettersi in contatto con lo spazio architettonico (parete pavimento soffitto stanza edificio), altro è relazionarsi con l’intero, l’Ente Galleria Nazionale, dove si ordina e custodisce la Storia dell’arte; cosa ha significato allora e cosa significa oggi per Giulio Paolini?
La funzione di un Museo è quella di ospitare in alternanza eventi espositivi di natura e origine diverse. Possiede però anche un valore permanente, quasi che le opere via via esposte lascino traccia, certo non direttamente visibile, ma in qualche modo avvertibile. È proprio questo “relazionarsi con l’intero” il tratto più significativo, a tutta prima inafferrabile ma “storicamente” più incisivo e durevole dell’istituzione museale. Un messaggio sospeso, da cogliere quando la regola non detta ma infallibile del divenire delle immagini lascia il segno.
Intervista di Giovanna Coltelli dal catalogo di Joint is Out of Time, edito da Silvana Editoriale.
1988 – Giulio Paolini
È il 1988 l’anno della grande retrospettiva, intitolata Giulio Paolini, voluta da Augusta Monferini nel Salone Centrale della Galleria.
Foto di Paolo Mussat Sartor per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
“Sette sono le pareti che delimitano l’area del Salone Centrale. In ossequio alla considerazione elementare, anche se del tutto soggettiva, che un’opera e la sua esposizione non possano svolgersi durante un itinerario, non debbano tanto intrattenerci, ma invece corrispondere all’assoluto di una verità istantanea, immota, in un luogo senza profondità, nel limite che appunto chiamiamo parete, il percorso assume allora sette diverse versioni o, addirittura, finiamo con l’assistere a sette diverse esposizioni. L’arte non sa e non vuole sapere niente di noi. Forse queste sette esposizioni non sono neppure le sette che crediamo di vedere, ma le centoquindici che a partire dalla prima (ottobre 1964, proprio a Roma) ho allestito fin qui.”
Giulio Paolini, da un estratto del catalogo della mostra Giulio Paolini, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 1988
1981 – Lo sguardo della Medusa
Prende il nome dall’opera omonima, “Lo sguardo della Medusa”, la prima mostra di Giulio Paolini alla Galleria Nazionale curata da Ida Panicelli. Paolini è già un artista affermato e segna il passo, come testimoniano le parole dell’allora Soprintendente Giorgio de Marchis che sottolinea come la Galleria dovesse, con queste mostre, “testimoniare l’attualità, riconoscendola in quei lavori in corso che modificano l’orizzonte culturale giù conosciuto”.
Giulio Paolini, Lo sguardo della Medusa, 1981
Matita e matita rossa su carta, calco di gesso in frantumi, pagine di rivista
Misure complessive variabili
Proprietà dell’artista
Foto di Marina Malabotti per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
“‘Lo sguardo della Medusa, si sa, non si può descrivere…’. Questa considerazione impersonale cela più di un soggetto: i molti che lo sanno e chi, solo, si è perduto. È dunque impossibile descrivere una visione mancata? Quel (nostro) punto di vista è lì a non voler rinunciare alla prova, pur non sapendo che l’ora del sacrificio è stata rimandata”
Giulio Paolini. Lo sguardo della Medusa, catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 1981