- Il 23 gennaio 2019 alle ore 11:05 am
Gigi Cifali, Untitled 03, New Vesuvian Landscapes, 2011-2013
New Vesuvian Landscapes è il tuo progetto fotografico esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: il soggetto è il Parco Nazionale del Vesuvio, un luogo mitico della cultura europea ma anche il simbolo di una terra in eterna lotta contro l’abusivismo edilizio. Come è nato il progetto? Ci racconti la sua genesi?
Principalmente mi interrogo sui temi dell’etica dell’ambiente e della memoria collettiva. La fotografia in mostra appartiene alla serie New Vesuvian Landscapes, che affronta la questione dell’abusivismo edilizio nella zona rossa del Parco Nazionale del Vesuvio, alle cui pendici sono cresciuto osservandolo. Per chi abita questi luoghi rappresenta un orizzonte inevitabile, quanto il mare, e conviverci prevede una costruzione sociale del pericolo. Riflettendo sul rapporto della comunità con uno dei più pericolosi vulcani al mondo, ho rivolto lo sguardo verso chi negli ultimi decenni se n’è appropriato spezzando l’equilibrio con la sua natura. Spingendomi nei sentieri ho esplorato il paesaggio, immaginando le vedute tramandate dal Grand Tour, sino a trovare nella cementificazione ritratta tra gli alberi i mutamenti scorretti condizionati dall’azione umana, che non si è fermata nemmeno davanti al rischio di eruzioni. Anzi, l’idea che il terreno sia edificabile ne altera la percezione.
La scelta tecnica del taglio circolare delle immagini rimanda volutamente alla tradizione paesaggistica ottocentesca della Scuola di Posillipo. Quanto i tuoi luoghi d’origine hanno ispirato i tuoi lavori? (l’artista è originario di Torre del Greco (Napoli), ndr)
Il formato circolare delle fotografie ricorda le vedute della pittura napoletana nell’Ottocento, che invitavano a contemplarne la bellezza e con cui continuiamo ad identificare il Vesuvio. Oggi, però, la sua stessa natura non è più inviolata. Fermandomi ad ammirarla come in un voyage pittoresque a confronto, ho attraversato il paesaggio scrutando particolari sparsi e celati che non dovrebbero esserci. Le prospettive sono difatti scandite dai lunghi tempi dell’osservare e da un processo creativo paziente con i ritmi e gesti lenti del banco ottico. Non vivo stabilmente a Torre del Greco da ormai metà dei miei anni, ma il legame con il territorio campano rimane forte e mi riporta sempre ad esplorarne la realtà. In questo momento sto completando un lavoro sui rischi ambientali legati allo smaltimento dei rifiuti nella Terra dei Fuochi, che possiamo riconoscere anche altrove a livello globale.
Nei tuoi lavori figurano edifici e paesaggi antropizzati ma sempre privi del proprio artefice: l’uomo. Come interpreti il titolo della mostra che espone il tuo lavoro Ilmondoinfine: vivere tra le rovine? Le rovine come deriva o come approdo?
Il paesaggio fotografato è uno stato di fatto, che è destinato ad essere trasformato e ricostituito dall’attività del vulcano. Le catastrofi naturali provocano distruzioni e al contempo portano nuove condizioni ambientali. Così è stato dopo la letale eruzione del 79 d. C. che modificò la morfologia del Vesuvio e devastò l’area circostante, mantenendone il suolo particolarmente fertile.
Che ruolo ha per te la rovina in una città come Roma, dove archeologia, mito e invenzione si intrecciano?
Roma parla attraverso le rovine, che ci conciliano con la sua storia. Nulla è configurato come una linea retta, tutto si attraversa.
Già Lucrezio (De rerum natura, I sec a.c) sosteneva di come la natura umana fosse sempre stata dominatrice della natura. Che cosa ci riserva l’epoca geologica dell’Antropocene?
In un perenne ciclo di rigenerazione il nostro pianeta possiede forze distruttive, che non possiamo controllare. Nell’attuale era dell’Antropocene l’equilibrio con la natura, che l’uomo avrebbe dovuto rispettare, è ormai compromesso. Gli eventi naturali diventano disastri per colpa delle conseguenze dell’agire umano. Con lo sviluppo della scienza e della tecnologia aumenta la nostra consapevolezza dei potenziali rischi e percepirli ci rende più insicuri verso il mondo circostante.
In uno scenario in continua evoluzione dove l’immagine ha assunto un ruolo preponderante nella comunicazione e nella creazione di relazioni, come si configura il mestiere di fotografo? È ancora una necessità?
L’immagine ha superato se stessa e la fotografia si è trasformata ibridandosi con altri linguaggi. Di conseguenza cresce la responsabilità del fotografo con specifiche competenze del mezzo fotografico.